“Saltavi come un pesce per le scosse elettriche che ti attraversavano il corpo. Gli elettrodi erano messi nella parti umidi e molli, i capezzoli, la bocca e gli altri orifizi. Era una rete senza materasso quella dove ti torturavano. Per farmi parlare tentavano d’ipnotizzarmi, io facevo finta di esserlo e loro per provare se l’ipnosi funzionava mi spegnevano le sigarette addosso o mi chiedevano di ballare. Io sopportavo tutto.”
Corte d’Asside di Roma udienza del 15 Maggio 2015, processo contro i responsabili dell’operazione Condor. La testimonianza raccapricciante davanti ai giudici romani è quella di Marcia Scantlebury Elizalde, una giornalista cilena nata a Santiago del Cile nel 1945. Nel 1975 è stata sequestrata e torturata per 40 giorni dalla polizia segreta di Augusto Pinochet. L’allora capo della dittatura militare che prese il potere nel 1973 dopo il golpe che vide la caduta di Salvatore Allende, il primo e unico capo di stato marxista eletto democraticamente dal popolo.
L’ Operazione Condor fu un patto scellerato, al di fuori di qualsiasi parvenza di legalità, tra le dittature militari di sette paesi dell’America latina. Argentina, Brasile, Bolivia, Cile, Paraguay, Perù e Uruguay attuarono un piano stragista extranazionale che attraverso apparati paramilitari e i servizi segreti eseguirono una serie molteplice di omicidi, torture, stragi e sequestri nei confronti di chiunque potesse avere simpatie, amici o parenti, nei movimenti o nelle organizzazioni di sinistra dell’intero Sudamerica. Dal 1973, anno d’avvio dell’Operazione Condor ad opera di un’ufficiale delle CIA Americana e del Generale brasiliano Breno Borges Fortes, al 1980 sono scomparse quasi 30mila persone, altre 50mila sono state uccise e 400 mila arrestate. Ancora sono vivi i ricordi nei nostri occhi e nelle nostre coscienze di uomini democratici le immagini delle madri di Plaza de Mayo che cercavano e ancora continuano a cercare quelli che il mondo imparò a conoscere come i desaparecidos, gli scomparsi. Anche il nome del Condor non è casuale ma rappresenta l’aera geografica dei sette paesi latino americano dove il rapace vive, nidifica e svetta.
“Dopo la tortura si passava all’interrogatorio e così di volta in volta. Tortura, interrogatorio, tortura e gli aguzzini adottavano il modello del buono e del cattivo. Il buono era un cileno, mentre il cattivo era un russo. Avevano un organigramma di foto di appartenetti al MIR (Movimento di Sinistra Rivoluzionaria) e volevano sapere da me se quelle persone appartenevano al movimento. Subito dopo il golpe, Io ero entrata nel MIR attraverso un sacerdote per aiutare la gente perseguitata e poi sono salita sino ai massimi vertici dell’organizzazione.”
E’ una voce gentile e minuta quella di Marcia, che acquista una tonalità musicale attraverso lo spagnolo del Sudamerica, sua lingua d’origine e per questo abbisognevole di una traduttrice per il processo, anche se le parole che pronuncia grondano sangue. “Io non sono stata violentata per l’intervento di una mia compagna di cella che si è messa a gridare, non era una prassi la tortura della violenza carnale sulle donne, ma vi era un sadico che approfittava delle detenute della villa Grimaldi (la famosa villa usata dalla DINA, la polizia segreta, come luogo di tortura e centro di detenzione clandestino) e di nascosto dei superiori costringeva le carcerate. Io mi sono salvata perché la mia compagna di cella si è messa a fare casino, subito ripreso dalle altre detenute, e lui ha avuto timore”.
All’epoca dei fatti i sette i paesi coinvolti nel “Piano Condor” erano guidati da giunte militari arrivate al potere con un golpe. Furono promulgate leggi speciali, gli stadi furono trasformati in campi di concentramento e si crearono gli squadroni della morte che agivano nella totale impunità. Nel nome della lotta al pericolo rosso una intera generazione fu cancellata. Figli strappati alle madri ed adottati dai carnefici, medici, dottori operai, artisti, intellettuali, poeti tutti patirono, soffrirono e perirono.
“Era il 1 Giugno del 1975, compleanno del mio figlio minore, e mentre uscivo mi sono accorta di essere seguita. Il 2 Giugno sono arrivati delle persone vestite con abiti civili che con la scusa di un’incidente stradale mi hanno prelevata da casa, mi hanno messo su una camionetta in mezzo a due uomini e una benda sugli occhi. Poi siamo partiti, mi sono resa conto di essere arrivata alla Cordigliera delle Ande solo perché si è abbassata la temperatura. Quando sono arrivata sono stata accolta da alcune donne, le stesse che poi mi avrebbero ferocemente torturata. Mi sono resa conto di essere a Villa Grimaldi per le mattonelle italiane del pavimento, la villa prima era della famiglia Vassalli.”
Il Processo aperto a Roma agli inizi del 2015 sull’operazione Condor, per essere istruito in Italia ha avuto bisogno del benestare del Ministro della Giustizia Andrea Orlando che per l’occasione ha rilasciato la seguente dichiarazione “Numerose persone anche per il semplice fatto di essere sospettate di militare nel Partido por la victoria del pueblo o di avere con i militanti un rapporto di parentela o amicizia, venivano arrestate, senza alcun provvedimento che provenisse da una legittima Autorità, sottoposte a detenzione illegale e tortura e poi uccise nei modi più atroci”.
“Durante la detenzione è venuto a trovarmi uno psichiatra che insisteva affinché collaborassi, con la promessa che se lo avessi fatto mi avrebbe fatto rivedere i miei figli. Questo del ricatto dei figli era un metodo molto diffuso. Come quello di richiedere la collaborazione con il ricatto di evitare o fare cessare la sofferenza degli altri detenuti che in caso contrario avrebbero continuato a soffrire sotto la tortura.”
Pur con il consenso del Ministro, il problema del perché si debbano spendere i soldi dei contribuenti per un processo politico, tanto è vero che si è costituito in giudizio come parte offesa anche il Partito Democratico, e che riguarda fatti di oltre 40anni addietro, fatti commessi da persone che per questo motivo oggi sono già in detenzione nei loro paesi d’origine, è stato oggetto di ampie discussioni e critiche. Discussioni risolte in via definitiva nella prima udienza del Processo dove si sono discusse e dibattute le eccezioni poste dai difensori degli imputati
Tutto nasce dal principio di diritto “ne bis in idem” (non due volte per la medesima cosa), secondo il quale una persona non può essere sottoposta a giudizio una seconda volta per lo stesso fatto su cui è stata emessa già una sentenza definitiva. Nel caso di specie gli autori dei crimini commessi durante l’Operazione Condor, se non sono morti, sono stati giudicati per gli stessi fatti, per gli stessi reati, (strage, omicidio e sequestro di persona) e attualmente sono in stato di detenzione a scontare la pena nei loro rispettivi paesi.
La questione è stata risolta dal Presidente del collegio giudicante della 3 sezione della Corte d’Assise di Roma, Evelina Canale, la quale con apposita ordinanza ha stabilito che il principio del “ne bis in idem” non è un principio generalizzato del Diritto Internazionale e che può invocarsi solo nel caso di Stati che abbiano tra loro specifici accordi. E’ il caso della convenzione di Schengen che con riferimento agli stati Europei prevede l’applicazione del principio, la stessa cosa non può essere riferita a Stati con il quale non ci sono accordi specifici o essi non applicano il principio di reciprocità. Pertanto, per l’ordinamento Italiano quelle sentenze di condanna che sono state emesse negli Stati Sudamericani nei confronti dei criminali non sono riconosciute dall’Italia. In altri termini, giustizia non è stata fatta.
Se, infine, consideriamo che tra gli autori dei crimini vi è un cittadino con la doppia cittadinanza cilena e Italiana, il Sig. Troccoli, mentre tra le vittime i soggetti con doppia cittadinanza sono circa 30 si comprende come la domanda di giustizia non può essere disattesa anche se sono passati oltre 40anni.
Pietro Giunta