A Palermo, quarantadue anni fa, quando scomparve il giornalista Mauro De Mauro, la colonnina di Mercurio segnava trenta gradi. Tirava un vento di scirocco. Il giornalista de “l’Ora”, negli ultimi mesi della sua vita, era stato delegato alla pagina sportiva, un declassamento per qualcuno, niente di strano per altri. Il suo però era un giornalismo coraggioso, ricco di inchieste, denunce e argomenti scomodi. Si era occupato di mafia, di strani misteri. Dal terremoto del Belice, alla morte del commissario di polizia Cataldo Tandoj, fino alla tragica fine di Enrico Mattei. Proprio a Gagliano Castelferrato, Mattei aveva tenuto il suo ultimo discorso e il giornalista foggiano ha seguito sin da subito l’evolversi della vicenda. Ha registrato pareri e umori, consegnando alla memoria bellissime pagine di giornalismo. Doveva curare la sceneggiatura di un film “Il caso Mattei” commissionatagli da Francesco Rosi. La pellicola si occupò della morte del presidente dell’Eni prima ancora che la commissione d’inchiesta,(molti anni dopo) accertasse le reali cause dell’incidente. I fatti sono noti. Quelli che sono meno chiari i contorni. Cosa aveva fatto Mauro De Mauro?Il giornalista aveva forse scoperto una verità scomoda sulla morte del presidente dell’Eni? Non si sa. L’unica cosa certa è che un giorno al suo amico e collega Bruno Carbone aveva fatto una confidenza: “ Ho tra le mani uno scoop che farà tremare l’Italia”. Qui però s’interseca un altro filone. Seguito negli anni insieme alla pista Mattei. De Mauro è stato l’unico italiano ad essere accusato di aver sparato alle fosse Ardeatine, anche se dal processo né uscì indenne. Senza dubbio, era un fascista convinto: nonostante la maturazione agli ideali democratici fosse avvenuta, era sempre a contatto con quel mondo neofascista. Da qui nasce la pista del golpe borghese, poco battuta e poco chiarita. Ma facciamo un passo indietro. Nel 1970 l’Italia è stata investita da un tentativo di rovesciamento del potere. I fascisti del principe Junio Valerio Borghese, in stretta collaborazione con Cosa nostra, avevano organizzato questo complotto e De Mauro probabilmente sarebbe venuto a conoscenza di questo fatale segreto e per tale motivo sarebbe scomparso. La realtà sembra ancora oggi sbiadita, anche se una verità processuale è emersa. Noi de il carrettino delle idee, intanto abbiamo scelto di ricordare questo professionista dell’antimafia, attraverso la testimonianza di due giornalisti, colleghi di De Mauro. Uno lo abbiamo già citato, è Bruno Carbone, l’altro è Mario Genco. Due firme storiche de “l’Ora” e non solo. Qualche risposta è breve, ma ha il pregio di venire dai testimoni diretti. Occhi che hanno vissuto e respirato quel periodo buio.
Intervista a Bruno Carbone:
Ha avuto modo di lavorare fianco a fianco a Mauro De Mauro. Che giornalista era?
De Mauro era un ottimo cronista che una volta che “addentava” una notizia cercava di ricavarne tutto il possibile. Scriveva molto e di getto. Quello che non riusciva a scrivere lo confrontava con me. Abbiamo condiviso per diversi anni la stessa stanza al secondo piano di piazzetta Napoli. Era un uomo che aveva molta intuizione, legata ovviamente ai rapporti con gli altri.
Il giornalismo de” l’Ora” si è caratterizzato per le cronache coraggiose. Può descriverci l’aria che si respirava e le differenze con il giornalismo di oggi?
Il giornalismo di allora era un giornalismo di notizie e d’inchiesta. Ora l’inchiesta, l’approfondimento non esistono più. Ricordo, quando ero direttore, che su quasi tutti i fatti che accadevano in città ci riunivamo in assemblea e discutevamo come andavano affrontati. La cosa importante era cercare dietro la notizia. La verità è quella che aveva annunciato De Mauro e che molti segmenti di questa realtà sono stati nascosti perché erano implicati personaggi di alto rango. Perché Borghese non era che la superficie.
Qualche anno fa, sulle pagine di Repubblica, lei ha dichiarato che De Mauro, è sparito perché sapeva del golpe borghese. Qual è secondo lei la verità e dove hanno fallito le indagini?
Era stato nella decima mas con Junio Valerio Borghese col quale aveva mantenuto negli anni un rapporto di amicizia che non ha fatto mai pesare alla redazione: le sue amicizie e la sua appartenenza politica. Furono proprio le sue amicizie di destra che gli raccontarono il tentativo di golpe borghese e delle truppe che aveva già assoldato ivi compresi manipoli mafiosi. Tale era l’amicizia con Junio Valerio Borghese da mettere nome alla sua seconda figlia Junia. In redazione c’era un’aria di tensione continua, dovuta anche ai vari attentati della mafia e alle continue minacce.
Intervista a Mario Genco
Che giornalista era Mauro De Mauro?
Era un giornalista bravo, certe volte bravissimo, sia nel lavoro di cucina redazionale, sia in quello investigativo e inoltre scriveva in modo chiaro e coinvolgente
Lei ha seguito la vicenda della scomparsa, fin dai primi mesi. Cosa si ricorda di quel clima confuso, in cui più piste si sono rincorse?
Non si faceva in tempo a prendere una pista ed ecco che se ne intravedeva – o meglio, se ne faceva intravedere – una nuova da parte degli investigatori, in un infernale gioco al massacro fra i vari servizi investigativi. Carabinieri e Questura, spesso con contraddizioni al loro interno . Che cosa abbia fatto la Finanza, se mai facesse qualcosa, ci è sempre stato ignoto.
A tre mesi dalla scomparsa di Mauro, il direttore Vittorio Nisticò ha tracciato sulle pagine del giornale un amaro bilancio. Scriveva “Lontana sembra farsi la verità”. Secondo lei è stato fatto tutto il possibile per cercare di far luce sul reale motivo della scomparsa?
Alcuni fra gli investigatori – penso a Boris Giuliano – tentavano di afferrare il bandolo della matassa, altri con altrettanta solerzia cercavano di ingarbugliarlo, e per molti anni ci riuscirono.
L’ “Ora” di Palermo ha scandito una stagione battagliera, audace, di lotta alla mafia. Secondo lei, persiste questa tensione morale nel giornalismo odierno?
Nel giornalismo palermitano e siciliano, certamente no, pur con qualche eccezione: mi sembra che si dipenda troppo dalle “informative” che vengono fatte trapelare dalle procure; anche se non bisogna mitizzare L’Ora e i suoi giornalisti, che certamente ebbero un ruolo importante e spesso solitario in quelle battaglie che, alla fine, non furono tutte vincenti; e qualcuna fu perfino esagerata e ridondante (non mi riferisco all’impegno antimafia ma all’uso talvolta un po’ strumentale che se ne faceva trasferendolo acriticamente nel campo politico). Naturalmente ci sarebbe tanto altro da dire, ma è già tutto scritto nell’abbondante bibliografia sul caso e nelle carte giudiziarie, e poi io non amo ricordare quegli anni che a me, e a quasi tutti gli altri cronisti dell’Ora che se ne occuparono anche più di me, ha lasciato uno brutto sapore di fallimento professionale.