Una delle problematiche giovanili che interessa la nostra società sia in termini umani, sanitari e di costi nel campo della terapia riabilitativa riguarda le ricorrenti “stragi del sabato sera”. Accade così sempre più frequentemente che un momento di divertimento e di aggregazione si trasformi in tragedia personale e familiare; la voglia di rischio più o meno consapevole, la sfida con la velocità, la presunzione di sentirsi invincibili ed immortali diventano un incontro o con la morte o con una grave menomazione che causa disabilità spesso purtroppo permanenti.
A tale proposito sono anch’io “testimone” di un’esperienza drammatica che a distanza di tanti anni (ventuno dal mio incidente) mi porta naturalmente ed emotivamente ad osservare con occhio critico ciò che succede sulle strade e a considerare quanto sia necessario sensibilizzare in particolare adolescenti e giovani ad una educazione stradale, ma soprattutto al rispetto della propria ed altrui vita, dono prezioso ed irripetibile per ognuno di noi.
In questo contesto culturale sono fermamente convinto dell’importanza di un discorso di prevenzione, portato a livello di scuola, in un approccio diretto con studenti ed insegnanti al fine di dialogare e confrontarsi sulle conseguenze reali di un grave incidente: limiti, dipendenza dagli altri, impossibilità di movimento autonomo.
Solo con tanta energia, voglia di vivere e di apprezzare ciò che ancora hai (senza sentirsi vittime e senza colpevolizzare nessuno) riesci a superare le difficoltà (che non si cancellano ma che vanno viste in un’ottica positiva e propositiva) ed a progettare le proprie aspirazioni.
Utopia o realtà ? Il mio vissuto come persona disabile mi dice che è realtà non da circoscrivere a se stessi, ma da comunicare come messaggio di speranza: è importante “accettarsi”, ma è ancora più importante evitare queste tragedie.
Queste mie riflessioni non rimangono fine a se stesse, ma trovano valide motivazioni di confronto con i giovani che incontro specialmente nelle scuole.
La mia testimonianza crea, nella maggior parte dei casi, un dialogo aperto, talvolta provocante, ma sempre vivo fra me e la mia carrozzina e la loro realtà lontana da problematiche connesse ad una qualsiasi situazione di handicap.
Attraverso il racconto del passaggio dal prima al dopo incidente, con le varie tappe di un cammino lungo ma capace di sorprendermi in positivo nonostante le difficoltà, cerco di far capire ai ragazzi che potenzialmente tutti possono divenire “carrozzati” se, per colpa propria o altrui, non si rispettano il valore della vita, le regole di utenti della strada (casco, cinture di sicurezza, non abuso di alcool o droghe, limitazione della velocità, ecc.) ed un comportamento da persone civili.
I costi umani
Ogni anno nei 15 paesi dell’Unione Europea, 50.000 persone muoiono in incidenti stradali, un milione seicentomila vengono ferite e 150.000 rimangono handicappate.
I costi economici e sociali sono elevatissimi e non si limitano ad un esborso di denaro a carico delle assicurazioni e del sistema sanitario. Secondo una ricerca condotta su mandato della commissione dell’Unione Europea dalla Federazione europea vittime della strada (FEVR), a cui aderisce anche Stradamica, i danni subiti dalle famiglie delle vittime sono enormi e solo in parte conosciuti e considerati: il 90% dei nuclei familiari di deceduti o di vittime rimaste handicappate subisce una sostanziale e spesso drammatica diminuzione della qualità della vita.
Solo un terzo dei disabili torna a svolgere a tempo pieno il lavoro precedente, il 23% lo fa tempo parziale, il 16% cambia lavoro e il 30% rinuncia completamente all’attività lavorativa. Comunque il 40% non è più autosufficiente.
Secondo i dati ISTAT, che pure sottostimano il fenomeno, a causa delle particolarità del sistema di raccolta dei dati, ogni giorno sulle strade italiane vengono uccise venti persone, seicento sono i feriti ricoverati in ospedale, fra questi circa sessanta riportano invalidità permanenti.
La sofferenza psicologica delle vittime e dei loro parenti è spesso fortissima e di lunga durata.
Spesso essa cresce col tempo fino a causare malattie serie, che possono portare anche alla morte.
Una ricerca precedente (“Studio sul danno secondario fisico, psicologico e materiale inflitto alle vittime e alle loro famiglie dagli incidenti stradali”), aveva dimostrato che il 90% delle famiglie dei morti e l’85% delle famiglie degli invalidi dichiarava un significativo, e in metà dei casi drammatico, declino permanente della qualità della vita.
Inoltre, circa il 50% delle famiglie colpite dal lutto e il 60% delle vittime di infortunio riferiva di una caduta di lungo periodo, sostanziale e talvolta drammatica, del livello di vita.
Un pò di prudenza
Eppure a volte basterebbe poco per ridurre l’effetto degli incidenti in macchina.
Ad esempio le cinture di sicurezza. Impressionante è la bassissima percentuale di persone che dichiarano di indossare le cinture nelle nostre città: chi risponde “mai” alla domanda “Usi le cinture?” arriva al 51% in Italia, a fronte del 15% europeo.
In Campania addirittura il 77% degli automobilisti non allaccia le cinture nemmeno nei lunghi viaggi extraurbani.
La cintura di sicurezza “trattiene” la vita, ma pochi la usano nonostante sia un obbligo di legge in Italia dal 1986 (dal 1988 il casco). Eppure nei paesi in cui l’utilizzo è generalizzato, i morti e i feriti gravi si sono praticamente dimezzati! In Italia, se la cintura fosse allacciata da tutti, in un anno si salverebbero oltre 2200 vite sulle otto mila che invece la perdono, 700 mila feriti di cui decine di migliaia con ferite gravi e si risparmierebbero oltre 5.000 miliardi in costi socio-sanitari.
Considerazioni analoghe valgono per piloti di ciclomotori e motocicli: la mortalità tra i conducenti senza casco, soprattutto in ambito urbano, è doppia rispetto chi lo porta. Alcuni dati appaiono significativi: oltre il 70% dei conducenti deceduti non indossava il casco. L’incremento delle condizioni di sicurezza degli utenti è testimoniata soprattutto dall’aumento del tasso di incolumità dei conducenti coinvolti in incidenti (10,5% tra chi indossava il casco contro il 5,7% di quelli che non lo indossava).
Va ricordato che secondo tutti i centri di ricerca la mortalità varia alla potenza quattro della velocità. Secondo un studio del TRL, agenzia del Ministero dei trasporti britannico, ogni riduzione di 1 km/h nella velocità di percorrenza di un tratto stradale porta ad una riduzione del 5 % degli incidenti.
Un aspetto importante è la limitazione e il controllo della quantità di alcol autorizzata nel sangue.
Oggi in molti paesi è dello 0,8 per mille: ebbene con questo tasso la probabilità di avere un incidente stradale per un conducente è nove volte superiore rispetto ad una persona sobria.
La Commissione Europea vuole imporre un tasso dello 0,5 per mille, tasso che comporta probabilità “solo” doppie rispetto alla situazione di sobrietà. Finora solo la Francia (paese produttore di vino come l’Italia) lo ha introdotto a partire dal settembre 1995.