«La prima repubblica è nata sulle macerie della guerra, la seconda da quelle di Tangentopoli» ha detto più volte il giornalista Marco Travaglio. E si potrebbe proseguire il suo ragionamento dicendo che la cosiddetta terza repubblica sta nascendo dalla deflagrazione di una potente bomba: il mix di vicende processuali legate alla corruzione, che sta minando alle fondamenta quel poco di fiducia che era ancora riposta nei partiti, e quelle legate ai nuovi sviluppi dell’inchiesta sulla trattativa che ci fu fra pezzi dello Stato e la mafia nel 1992-93. Ripercorrendo la storia della nostra giovane e travagliata repubblica viene quasi da cambiare il primo articolo della Costituzione: “L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro”. Innanzitutto perché di lavoro, oggigiorno, ce n’è sempre meno. Ma soprattutto perché c’è un altro elemento che caratterizza la storia italiana ancor di più: l’assenza di verità appurate; la certezza che le vicende oscure che il Paese ha attraversato sin dalla sua nascita non sono affatto risolte, e che per l’imposizione di “segreti di Stato” e per l’omertà dei protagonisti di quei fatti, è probabile che la verità sarà seppellita con il rinnovamento generazionale.
Questo è il filo rosso che lega tutte le storie che Luciano Mirone ha raccolto nel suo ultimo libro “A Palermo per morire”. Partendo dall’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il volume sfiora i lugubri fatti che hanno segnato la nostra storia: dallo sbarco degli Alleati in Sicilia concordato con la mafia (unica istituzione in grado di garantire agli statunitensi un controllo pervicace del territorio), all’omicidio di Aldo Moro progettato dai servizi segreti americani e italiani per mettere fine al “compromesso storico”, cioè all governo esteso anche ai comunisti (quegli stessi comunisti che in Sicilia stavano conducendo una lotta spietata quanto isolata contro la mafia, arrivando a capire con il sindacalista Pio La Torre che per mettere in seria difficoltà Cosa nostra bisognava confiscarle i suoi beni) fino ad arrivare all’attentato a Enrico Mattei, progettato da un boss mafioso del calibro di Antonino Calderone per fare un favore agli americani, cui il presidente dell’Eni stava pestando i piedi.
Ci sono tante storie nel libro di Mirone, e sono tutte collegate da un nome o da interessi convergenti di mafia, massoneria, servizi segreti e istituzioni che potremmo chiamare deviate. «Dalla Chiesa fu mandato a morire in Sicilia senza che gli venissero dati i poteri di cui necessitava per combatterla – ha spiegato Mirone – Quando fu ucciso nel 1982 avevo all’incirca vent’anni. Ricordo che fu la prima persona a farmi capire il legame fra mafia e politica, che Cosa nostra non è solo quella che spara, ma che tratta alla pari con le logge massoniche e i servizi segreti». Luciano Armeli Iapichino, autore del libro “Le vene violate” sull’omicidio di Attilio Manca (urologo usato dalla mafia per curare Provenzano, malato di un cancro alla prostata, e poi ucciso, buttato via come un oggetto vecchio e pericoloso) arriva a parlare di «istituto del depistaggio, usato in vari processi per allontanare dalla verità scomoda chi indaga».
E alla presentazione del libro è intervenuto anche il fratello del dottor Manca, Gianluca, che insieme alla sua famiglia lotta da anni per ottenere verità. «Un libro deve frugare nelle ferite, anzi, deve provocarle. Questo libro conduce per mano il lettore in un racconto che parte con una frase che resta sospesa fino alla fine — “C’è sempre una mente raffinatissima dietro a una cassaforte aperta o un’agenda rossa scomparsa” — e che trova spiegazione solo dopo che tutti i fatti sono stati messi in fila e collegati fra di loro».