PICCHETTI IN VALIGIA. CAMBIA IL MODO DI SOGNARE

Giugno 1989: migliaia di studenti scendono in piazza, protestano per i diritti dell’essere umano. Chiedono che il totalitarismo ceda il passo alla democrazia, che il Paese si scrolli di dosso decenni di dispotismo.

Accade nel 1989, in Cina.

I giovani vengono uccisi, la rivolta repressa nel giro di pochi giorni. Nessuna pietà, nessun compromesso. Non c’è spazio per la libertà, non c’è futuro per i dissidenti.

Eppure qualcosa sta cambiando, inesorabilmente. Dall’altra parte del mondo, in una Berlino massacrata e svilita, una folla recalcitrante si lascia alle spalle l’Unione Sovietica e varca il tanto odiato muro della vergogna. Bastano pochi giorni e Gorbaciov firma la sua resa: niente più barriere invalicabili in Germania. L’Europa inneggia alla libertà.

Accade nel 1989, a pochi chilometri da qui.

Appena pochi mesi prima, l’esordio de “L’attimo fuggente”: un eccentrico professor Keating invita i suoi studenti a non lasciarsi sfuggire l’occasione per cambiare il mondo, cambiare sé stessi. Rendete straordinaria la vostra vita, tuona Robin Williams ai suoi studenti. Ebbene, l’eco delle sue parole giunse anche in Italia.

Il 6 Dicembre 1989, all’Università di Palermo, le attività didattiche subiscono una brusca battuta d’arresto. Anche qui, in questo piccolo angolo di mondo, gli studenti hanno qualcosa da dire, diritti da far valere e ingiustizie contro cui protestare.

La Riforma Ruberti non va giù ai manifestanti: le facoltà vengono occupate per giorni e il malcontento si fa sempre più forte. In poco tempo giovani insoddisfatti e decisi s’impadroniscono delle maggiori università italiane. Niente manganelli, coltellacci e risse, si badi bene. Il movimento studentesco, che verrà poi ribattezzato La Pantera, si caratterizza innanzitutto per il dialogo costruttivo e le pratiche non violente. “Ricordo bene quei mesi, intensissimi. Seminari, intere giornate passate all’università, persino a Natale. Si faceva di tutto: seminari autogestiti, incontri, dibattiti e proteste. Ma mai uno scontro armato o una zuffa finita male.” Ottavio Navarra, ex leader del movimento siciliano, rivendica la natura pacifista delle manifestazioni. “Eravamo semplici studenti, senza stendardi né partiti. Volevamo far valere le nostre ragioni che prescindevano da partiti e ideologie socio-politiche. Gli studenti di tutta Italia erano vittime di soprusi più o meno evidenti e sulle condizioni delle facoltà palermitane soprassedere era diventato impossibile.” Insofferenza e desiderio di cambiamento sono stati sufficienti: orde di studenti hanno sollevato il capo, hanno reso noto il loro dissenso in modo quanto mai efficace. “Molti sostengono che tutto sia durato troppo poco, che la nostra sia stata una fiamma di breve durata, destinata ad estinguersi senza lasciar traccia. Non è affatto così: abbiamo occupato l’università per oltre cento giorni, anche durante le festività natalizie. Non abbiamo abbandonato le facoltà nemmeno per poche ore. L’autogestione è stata costruttiva, mai distruttiva: ogni cosa è rimasta intatta, abbiamo riconsegnato le strutture senza che ci fossero danni di alcun genere. Oserei dire che le abbiamo persino migliorate. Per quel che riguarda le nostre conquiste, basti dire che la Regione si è mobilitata per fornire servizi idonei ai fuori sede. Inoltre molti fra i punti della proposta Ruberti sono stati ritrattati. Per me questa è una vittoria, in ogni caso.” Navarra non dimentica la sua esperienza a capo del movimento, al contrario ostenta orgoglio e nostalgia. “Sono stati mesi intensi, ci hanno dato la possibilità di lasciare un segno, di avere voce in capitolo sul divenire dell’università. Le cose non andavano affatto bene, era necessario intervenire.”

A distanza di oltre quindici anni, l’ateneo palermitano non sembra versare in condizioni migliori. Certo, i problemi sono di diversa natura: alle aule fatiscenti si è sostituita una perenne disorganizzazione, alla privatizzazione delle università l’aumento vertiginoso delle imposte. Eppure questa volta, sembra che gli studenti non abbiano trovato motivi validi per manifestare. Niente cortei né occupazioni, non quest’anno. Nemmeno lo scandalo in cui è stato recentemente coinvolto l’ateneo ha scosso gli animi dei giovani palermitani: esami “truccati”, mai conseguiti ma comunque regolarmente convalidati dal personale di segreteria. Si tratterebbe di una quarantina di lauree fondate su verifiche mai sostenute, che il Consiglio Accademico ha provveduto tempestivamente a revocare. La responsabile del misfatto, Adriana Paola Cardella, ha ammesso di aver preso parte alla truffa e pertanto è stata allontanata dall’incarico. E così, tutto è bene quel che finisce bene: sono bastati pochi titoli di testa su un pugno di quotidiani locali per sedare la rabbia di studenti indispettiti. “È naturale che siano gli interessi economici a farla da padrone: non c’è da meravigliarsi che la possibilità di un guadagno sottobanco risulti allettante. È terribile, lo so, ma è così che funziona.” Caterina ha solo ventidue anni, eppure sembra già aver capito l’antifona. “Anche se ritengo sia necessaria maggiore trasparenza, sono convinta che l’ignoranza abbia un costo: sarà il mondo del lavoro a sbattere la porta in faccia ai meno meritevoli. Alzare la voce adesso non servirebbe a nulla.” Già, eppure i nostri “laureati” avevano trovato lavoro da tempo, persino nella pubblica amministrazione. La “doccia fredda” è arrivata solo dopo l’intervento delle forze dell’ordine e chi ne ha pagato le spese è l’ateneo. “Nel nostro Paese la meritocrazia non esiste, men che meno qui a Palermo” afferma Francesco, rassegnato “l’unica soluzione è andar via, cercare un impiego altrove, affermarsi dove competenza e preparazione vengono prima di denaro e amicizie.” Francesco ha scelto di studiare Lingue, il suo sogno è abbandonare l’Italia, lasciare la terra dov’è nato. A sentir lui, non potrebbe sognare nient’altro che questo. “Siamo stati definiti choosy, scansafatiche, incapaci di costruisci un futuro. Bene, non ci è stata data nemmeno la possibilità di smentire questi falsi miti. Non ci resta che fare le valigie.”

Mettiamo via striscioni e manifesti: molto meglio un borsone zeppo di libri e aspettative. È una resa? I giovani italiani sventolano bandiera bianca? Forse. Forse no. Forse è solo voglia di evadere, forse anche l’estero è solo un miraggio. Ogni ragazzo ha il diritto di sognare e ogni generazione ha i propri sogni.

Non importa se un giorno troveremo i nostri promettenti viaggiatori alla fermata del bus, con le buste della spesa piene di melloni acquistati al mercato rionale. Non importa se i loro castelli in aria crolleranno. Non importa stabilire se andar via è un gesto di coraggio o di viltà. La loro è una protesta silenziosa, uno stanco dissenso, nascosto distrattamente dietro una finta rassegnazione. Lasciamo che vadano via, lasciamo che tornino indietro. Lasciamo che scelgano cosa sognare.

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