Pino l’anarchico ancora scomodo

Sono trascorsi 44 anni dall’assassinio di mio padre Pino, aveva 41 anni, era sposato con Licia e aveva due bambine di 8 e 9 anni, lavorava alla Stazione Garibaldi come caposquadra manovratori ed era anarchico. Una targa, posta dagli studenti e dai democratici milanesi, lo ricorda a Milano in Piazza Fontana nel giardino di fronte a quella che era la Banca Nazionale dell’Agricoltura e che il 12 dicembre venne devastata da una bomba fascista provocando la morte di 17 persone e il ferimento di 88. Era nato a Milano nel popolare quartiere ticinese, dopo le elementari aveva iniziato a lavorare per aiutare la famiglia, giovanissimo diventa anarchico e giovanissimo partigiano, come staffetta, nella brigata Franco. Finita la guerra il suo bisogno di comunicazione e i suoi ideali di pace e fratellanza lo portano a contatto con ambienti diversi e lo impegnano sempre più sul fronte della giustizia sociale. Nella prima metà degli anni ’60 aderisce al gruppo di Gioventù libertaria e diventa l’interlocutore tra i giovani e i vecchi anarchici. In quegli anni è tra i fondatori di vari circoli anarchici e svolge attività sindacale all’USI.

Dalla primavera del 69, attraverso la crocenera anarchica organizza sia l’assistenza legale che il sostegno morale agli anarchici arrestati per le bombe del 25 aprile alla Fiera di Milano e per le bombe sui treni dell’agosto dello stesso anno. Così lo ricorda Viviana, che all’epoca aveva 19 anni e da poco più di un anno frequentava il Ponte della Ghisolfa “Pino aveva il dono di parlare con i giovani senza supponenza, facendoti sentire alla pari, non un discepolo o un cretino che non sa niente. Per me è stato maestro di vita, purtroppo per poco tempo. Da lui ho avuto consigli di lettura ed esempi. Lui si occupava attivamente dei compagni in carcere tramite crocenera….Mi parlava della suddivisione del lavoro, del braccio che doveva essere intercambiabile con la mente….Oggi che non mi sento più parte del movimento anarchico quelle idee sono ancora dentro di me…..”

Scriveva Pino a Paolo Faccioli (uno degli anarchici arrestati per gli attentati alla Fiera di Milano del 25 aprile)….”vorrei che tu continuassi a lavorare, non per il privilegio che si ottiene, ma per occupare la mente nelle interminabili ore; le ore di studio non ti sono sicuramente sufficienti per riempire la giornata. Ho invitato i compagni di Trento a tenersi in contatto con quelli di Bolzano per evitare eventuali ripetizione dei fatti. L’anarchismo non è violenza, la rigettiamo, ma non vogliamo nemmeno subirla: ESSA E’ RAGIONAMENTO E RESPONSABILITA’ e questo lo ammette anche la stampa borghese, ora speriamo lo comprenda anche la magistratura”…..

E’ conosciuto anche in questura dove si reca per richiedere le autorizzazioni per le manifestazioni.

Non era un politico, FACEVA politica con lo slancio, l’entusiasmo, la generosità e la consapevolezza che fosse un dovere partecipare, contribuire a costruire un mondo dove il diritto al lavoro, all’istruzione, non fossero privilegio di pochi o meri segni su un pezzo di Carta….tutto questo fino al 12 dicembre 1969 quando verrà invitato dal commissario Calabresi a precedere la volante della polizia cin il suo motorino in questura per degli accertamenti e ne uscirà da una finestra dopo 3 giorni di fermo illegale.

E in questo Stato democratico nessuno mai risponderà del fermo, delle accuse infamanti e del suo assassinio.

“A Pino gli Anarchici”, è scritto sulla lapide dove riposa nel cimitero di Carrara: mentre la pietra tombale riporta la poesia tratta dall’antologia di Spoon River, “Carl Hamblin” (sulla giustizia).

p.s. ed era bellissimo!