Più di 100 mafiosi scarcerati per il covid

scoppia la polemica su Bonafede

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Il costruttore boss pino sansone, l’ex vicino di casa di totò riina, ha ottenuto gli arresti domiciliari a fine aprile, nel pieno dell’emergenza Covid. Ed è ancora lì, a casa sua, nonostante l’accusa pesante di aver tentato di riorganizzare un pezzo di Cosa nostra. Anche gino bontempo, il ras della mafia dei pascoli che razziava i contributi europei per i Nebrodi, è rimasto ai domiciliari, eppure l’emergenza Coronavirus in carcere si è ormai attenuata. Stesso beneficio per l’ergastolano ciccio la rocca, lo storico padrino di Caltagirone su cui aveva indagato il giudice Giovanni Falcone. E per tanti altri personaggi di peso delle mafie italiane.

È lunga 112 nomi la lista di boss e trafficanti di droga che non sono più ritornati in cella nonostante il decreto del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che a inizio di maggio aveva tentato di mettere un argine alla valanga di scarcerazioni per il rischio di contagio in carcere. «Ma 111 sono già tornati in istituto penitenziario — spiegano al ministero della Giustizia — ed è un risultato importante, il meccanismo del decreto si è rivelato decisivo perché, rispettando l’autonomia decisionale dei giudici, li ha chiamati a riconsiderare tutti i provvedimenti di scarcerazione e ha consentito di fare rientrare in carcere i boss più pericolosi».

Le celle si sono riaperte per due 41 bis, il boss della Cupola francesco bonura e lo ‘Ndranghetista vincenzino iannazzo. In carcere sono tornati anche il killer di Cosa nostra Antonino Sudato, che sta scontando l’ergastolo; franco cataldo, uno dei carcerieri del piccolo Giuseppe Di Matteo; francesco barivelo, il sicario dell’agente della Polizia Penitenziaria Carmelo Magli; rosalia di trapani, la moglie del capomafia salvatore lo piccolo; gli ‘ndranghetisti nicolino gioffrè, francesco mammoliti, antonio mandaglio, antonio romeo e lo scissionista giosuè belgiorno. Adesso, in carcere c’è anche il boss palermitano nino sacco, erede dei potenti graviano di Brancaccio, i mafiosi delle stragi.

Dati ufficiali
Cifre e nomi sono quelli forniti ieri a Repubblica dal ministero della Giustizia. La prima novità che balza all’evidenza è nel numero di 223 scarcerati per rischio Covid: il 14 maggio, in commissione giustizia, il ministro Bonafede aveva parlato invece di «498 scarcerati fra alta sorveglianza e 41 bis». Perché questa differenza? Il nuovo vertice del Dap, gestito da due ex pubblici ministeri antimafia (capo Dino Petralia, vice Roberto Tartaglia) ha fatto una cosa semplice appena insediatosi dopo le dimissioni di Franco Basentini, travolto dalle polemiche: ha passato in rassegna tutti i fascicoli dei boss andati ai domiciliari ed è saltato fuori che appunto solo 223 detenuti (102 sottoposti a misura cautelare, 121 a condanna in via definitiva) erano stati scarcerati per ragioni connesse al rischio Covid. I rimanenti 275 erano finiti ai domiciliari per «cause diverse e indipendenti dalla pandemia». Dal Dap spiegano: «Ad esempio, fisiologiche cause processuali, applicazione di benefici previsti dalla legge, oppure motivazioni sanitarie pregresse, del tutto distinte dal rischio Covid».

Insomma, fino ad inizio maggio, quando poi c’è stato il cambio di gestione, al Dap c’era una certa confusione sulle scarcerazioni. E restano ancora le ombre pesanti sulla circolare che le ha sostanzialmente attivate, segnalando alcune patologie come “a rischio” di contagio Covid.

Chi resta in libertà
Al ministero tengono a ribadire: «È stato fatto davvero tutto il possibile per far fronte alla situazione che si era venuta a determinare». Il decreto di Bonafede ha imposto ai giudici di fare delle rivalutazioni periodiche delle posizioni degli scarcerati. Un meccanismo che non ha però convinto il tribunale di sorveglianza di Sassari, che era chiamato ad occuparsi del boss dei Casalesi Pasquale Zagaria: i giudici hanno sollevato una questione di legittimità costituzionale sul decreto. «L’obbligo di rivalutazione della detenzione domiciliare» previsto da Bonafede potrebbe finire per «violare la sfera di competenza riservata all’autorità giudiziaria» e dunque «violare il principio di separazione dei poteri». È una delle questioni in discussione.

Gli avvocati denunciano anche una violazione del diritto di difesa e di quello alla salute. Vedremo cosa accadrà nei prossimi mesi, con la decisione della Consulta. Intanto, zagaria non è tornato in carcere. Come altri tre autorevoli mafiosi della provincia di Palermo: giuseppe libreri, di Termini Imerese, stefano contino, di Cerda, angelo porcino di Barcellona e diego guzzino, di Caccamo. Per le forze di polizia è un gran lavoro ogni giorno per tenere sotto controllo i boss rimasti a casa o in ospedale, magari nel loro territorio.

 Vedova Montinaro: scarcerazioni dei mafiosi segnale devastante

“Quelle scarcerazioni nel pieno dell’emergenza Covid sono state un segnale devastante”. Lo dice Tina Montinaro, la vedova del caposcorta di Giovanni Falcone, in un’intervista a ‘La Repubblica’. “Non parlatemi di svista – ripete – perché la lotta alla mafia deve essere fatta da persone competenti. E alla fine, tanti boss hanno lasciato il carcere, e noi familiari delle vittime siamo rimasti rinchiusi nel 41 bis del nostro dolore, a scontare il vero ergastolo”.

“Un decreto da solo”, dice parlando del decreto di Bonafede che ha riportato in carcere 111 mafiosi, ”non potrà mai rimarginare una ferita grande che si è venuta a creare”. “Cosa devo dire io ai ragazzi dei quartieri di Palermo quando vedono tornare a casa il mafioso? – aggiunge – Lo Stato non ha dato davvero un buon esempio, non ha saputo garantire la certezza della pena”.

“Innanzitutto, chiariamo: io sono la prima a dire che anche il mafioso più incallito ha diritto a essere curato. Noi siamo lo Stato, noi siamo la legalità – continua – Detto questo, non si dovevano mandare a casa mafiosi pericolosi, ma attrezzare le tante strutture sanitarie presenti all’interno delle carceri”.

“Siamo alle questioni basilari, come si fa a non rendersi conto? – prosegue – Un mafioso si alimenta delle relazioni nel suo territorio, dove gode di complicità e protezioni. Gli arresti domiciliari non sono affatto un limite, una barriera, come tante inchieste giudiziarie ci hanno dimostrato. Ma voglio tornare ancora sulla questione del diritto alla salute”. “Vorrei che si parlasse anche delle condizioni di salute degli ultimi rinchiusi nelle carceri: i migranti, i tossicodipendenti, tutti coloro che non hanno soldi per ingaggiare grandi avvocati o relazioni per mobilitare opinionisti”, spiega.

“I casi riina e provenzano sono un modello a cui fare riferimento – aggiunge – I padrini delle stragi ebbero la migliore assistenza possibile in strutture ospedaliere penitenziarie, dove venivano anche visitati dai familiari”.

I vecchi mafiosi, sottolinea Montinaro, ”rappresentano dei simboli per i più giovani. Simboli di illegalità che continuiamo a combattere ogni giorno con un lavoro sul territorio. E se sul territorio ritornano, allora rischiamo di perdere la nostra battaglia. Anni di lavoro in fumo, giovani che si allontanano. Con le scarcerazioni dei boss lo Stato ha perso una cosa soprattutto, la credibilità”.

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