Processo Vivaio, Bisognano alla barra degli accusati

«Qui non ha verificato niente nessuno e noi siamo qui con una condanna a una persona stimata, un galantuomo, un professore universitario di questa città». La difesa accorata dell’avvocato Rasconà suscita l’approvazione del professore Sebastiano Giambò, che assiste all’udienza del processo “Vivaio” e annuisce con la testa ai passaggi salienti della difesa.

La vicenda al centro del procedimento giudiziario è quella delle infiltrazioni nella gestione della discarica di Mazzarà e di quella di Tripi da parte della mafia barcellonese. Giambò, docente universitario, ex sindaco di Mazzarà, presidente della società Tirrenoambiente, è accusato di essere sceso a patti con il clan e di aver promesso appalti in cambio di voti per il suo successore alla guida del Comune.

Il principale accusatore di Giambò è il collaboratore di giustizia Carmelo Bisognano. Anche lui è in aula ad assistere al primo passo nelle arringhe dei difensori delle varie parti in causa. Mentre parla l’avvocato di Giambò, Bisognano scuote la testa, si gira verso il suo avvocato Rita Cicero, e spiega la sua versione dei fatti.

Ma le due arringhe di oggi, le prime di una serie che continuerà nella prossima udienza del 9 luglio, sono incentrate su di lui, più che sui fatti del processo. «Manca un riscontro oggettivo delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia» è l’accusa dell’avvocato Rasconà, che mira a minare la credibilità di Bisognano e degli altri accusatori del suo assistito.

«Non basta che ci siano dichiarazioni di più soggetti, potrebbe esserci stata una reciproca comunicazione, visti i rapporti che li legava» è infatti il ragionamento dell’avvocato, che a sostegno della sua tesi cita le sentenze Carnevale, Andreotti e Mannino. Tre sentenze illustri secondo cui, spiega l’avvocato, «si deve cercare un evento concreto invece di un accordo [tra il clan e Giambò, ndr] puramente generico, altrimenti non si può sostenere il concorso esterno. Sarebbe soddisfatta l’accusa se non si capisse cosa ha fatto concretamente Giambò per favorire la famiglia criminale dei barcellonesi?».

«A Mazzarà c’è stata una direzione politico-imprenditoriale di Giambò, che era sindaco e presidente della Tirrenoambiente – è l’accusa che viene dall’avvocato Cicero – Il progetto della discarica era smisurato per una città come Mazzarà, era impossibile che un’opera così mastodontica fosse realizzata senza l’interessamento della famiglia di Barcellona, che è imprenditoriale».

Il ruolo di Bisognano, secondo il suo avvocato, è stato determinante «per dirimere i contrasti che sarebbero potuti insorgere, come ad esempio le proteste dei cittadini o i ricorsi delle ditte non aggiudicatarie degli appalti che ruotano intorno alla discarica».

E lo è anche nel processo, visto che autoaccusandosi di diversi reati ha permesso la ricostruzione della «commistione di interessi politici, economici e mafiosi. Attorno a quel tavolo si sedettero due mondi che dovevano restare separati – è la conclusione dell’avvocato Cicero – Il narrato di Bisognano non fa una grinza».