di Francesco Poliziotti
Sono oltre 26mila gli immigrati, al 3 ottobre 2011, inseriti nel “Piano d’accoglienza” varato dal Governo la scorsa primavera per fronteggiare all’emergenza dell’onda di flussi provenienti dal Nordafrica. Disseminati nelle regioni italiane, sulla base del rapporto di mille su un milione di abitanti, lo Stato ha stanziato in 46 euro il budget per la gestione singola di ciascun immigrato, cifra che sale ad 80 euro per i minori. In totale, ogni giorno si spendono 1,2 milioni di euro ed ogni gestore di strutture dedicate all’accoglienza riceve dallo Stato un congruo indennizzo, di cui spesso non si conoscono i reali benefici per gli stessi migranti. Tali aiuti, in linea di principio, dovrebbero favorire l’autonomia degli individui, con assistenza e mediazione, ma in pratica li costringono in ambienti lontani dalle città, in situazioni difficili come quella di Montecampione in Valcamonica, dove alla prima nevicata, lo scorso 20 settembre, in 40 hanno deciso di abbandonare l’albergo “Le Baite” nel quale erano stati destinati insieme ad altre centinaia di connazionali tunisini. Oggetto della protesta, l’eccessivo isolamento e l’assenza di riscaldamento, la mancanza di farmaci di prima necessità e di prodotti per l’igiene personale che la macchina organizzativa non aveva ottemperato malgrado a 1200 metri di altezza, le temperature sono di netto differenti rispetto alla Tunisia.
La gente del posto non ha avuto difficoltà a comprendere problemi del gruppo e lo stesso Prefetto a ricevere la “delegazione” dei fuggitivi.
Altri invece hanno beneficiato di strutture più complete, come in provincia di Milano, dove 235 migranti sono stati alloggiati al residence Ripamonti di Pieve Emanuele, struttura stavolta, rivestita con materiali di pregio ad isolamento termico a pochi minuti dalla metro di Assago e di Milano. Totale, 10.810 euro. Una soluzioni apparentemente umana se non si desse ascolto a quelle voci che affermano come l’amministratore delegato della struttura sia un consigliere provinciale del pdl.
Per fortuna anche il privato sociale ha avuto un ruolo nella gestione dell’emergenza e non sono rare le occasioni in cui piccoli comuni si intestano l’ospitalità di queste vite, senza falsare la macchina della solidarietà. E sono le stesse associazioni del no profit a chiedersi, quale strategia segua interventi così improvvisati, interventi esposti all’opportunismo emergenziale degli addetti ai lavori che spesso si annidato anche nella Protezione civile o nella Croce rossa.
Numeri significati, ad esempio, che hanno mobilitato tutto il Paese attorno al “caso Lampedusa” che a distanza di tempo può essere – senza mezzi termini – definito un caso mediatico, alimentato ad arte da certa politica. Un fronte mediatico, appunto, che ha mosso solo risorse ma nulla ha avuto a che fare con gesti concreti di umanità e solidarietà, gesti messi in disparte dalla politica dell’intolleranza e dell’imprevisto voluto. “Si è scelto volutamente di non intervenire per provocare il malessere della popolazione lampedusana” hanno affermato alcuni volontari del posto.
Su questa scia, l’interesse economico dell’affaire immigrazione. I problemi di ordine sociale che scatena l’immigrazione clandestina, muovono comunque una mole di denari che ammonta quasi 4 miliardi di euro dei Fondi europei (per rifugiati, rimpatri, integrazione e sicurezza delle frontiere interne) di cui oltre 200 milioni destinati alla sola Italia.
Attorno al migrante e non solo (vedasi racket indiano della ndrangheta calabrese), si celano, quindi poteri occulti che ne vogliono trarre vantaggi economici, sia nella gestione dei terminali (strutture, case d’accoglienza o centri temporanei) ma anche nelle “voci” indirette (fornitura di materiale).
Il proliferare di progetti di scarsa utilità o peggio di sistematico opportunismo, senza un’adeguata strategia di lungo termine, dimostrano che sia lo Stato, che chi opera nell’ambito dei servizi alla persona, siano parte di un sistema malato che senza una progettualità con i territori, rischia di esasperare il fenomeno della solidarietà, lasciando i migranti in balia della criminalità organizzata.
Un filtro alle frontiere può mettere il cuore in pace ai governanti ma un filtro nell’erogazione di risorse non eviterebbe lo scempio di denaro pubblico di cui solo una minima parte andrà a beneficio dei destinatari? Il business dei profughi non riguarda solo le strutture di accoglienza ma anche i ricongiungimenti, il diritto d’asilo e altro. Negli Usa o in Gran Bretagna, compagnie private controllano già anche i posti letto dei centri di detenzione.
Un passaggio regressivo di questi paesi, in cui il no profit viene sostituito cinicamente dal for profit.