Quel posto brutto chiamato Papardo

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Andare al “Papardo” e perdersi fra le vie interne ai vari reparti equivale a vedere quello che non vorresti, cose talmente assurde che a raccontarle non ti si crederebbe, quindi non mi è rimasto altro da fare che documentare fotograficamente.

La prima cosa che mi “attrae è un mucchio di sacchetti colorati sotto un muro, mi avvicino e mi rendo conto che probabilmente si tratta di un area di stoccaggio dei rifiuti.

Dai sacchetti aperti fanno bella mostra flacconi per flebo e flacconcini vari che hanno contenuto medicinali, rifiuti speciali, suppongo, di quelli che andrebbero trattati a parte e conferiti a ditte specializzate e, invece, sono lì a terra a fare bella mostra di un degrado evidente. Fanno da giusta cornice quantità eccessive di rifiuti di ogni tipo sparsi sulle aiuole.

Vedo un corpo di fabbrica adiacente con la porta aperta, mi avventuro, e qui piatti di plastica con residui di cibo (ottimo richiamo per topi), spazzature miste e tanta cacca umana, per fortuna altri ingressi sono murati.

Un esteso corpo di fabbrica che potrebbe benissimo essere un complesso reparto è totalmente murato, dalle fineste aperte si intravedono materiale ammassato, degrado e sporcizia.

Mi introduco in un plesso in cui vi è la sala mortuaria, nonostante le molte altre stanze presenti non vi è segno di personale, una uscita di sicurezza è bloccata da un ferro.

Bidoni per la spazzatura in perfetto allineamento, dentro sacchi di diveso colore; aperti, strappati, dai quali fanno capolino chiare etichette di materiale usati per visite ginecologiche: presumo che anch’essi andrebbero smaltiti a parte, invece fanno ottima compagnia ai sacchi neri nei quali si spera chi siano rifiuti “normali.

Continuo a percorrere le stradine (peraltro aperte a chiunque) con l’accompagnamento di colorati sacchetti di rifiuti ai margini, su un marciapiede persino un lavabo, manco fossimo a piazza Duomo. Cassonetti improvvisati tradiscono la presenza di un contenitore che ha avuto in se reagenti per analisi ematiche, anch’esso fra i cartoni: regolarmente.

Desolato proseguo, an’ala di un complesso è in ristrutturazione, è adiacente alle cucine, fra i due ambienti non vi è una porta, quindi mi è logico pensare che la polvere dell’ambine in ristrutturazione abbia di che spaziare.

E’ tardi, vado al reparto, ma nel transito vengo attratto dalle tante “guardiole” abbandonate, senza custodi, senza vita. Resta sola è abbandonata, all’interno di un guardiola al quarto piano, una confezione di pizza nel bidoncino dei rifiuti, testimonianza di un tempo nel quale anche le maestranze “mangiavano”

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