La commissione regionale antimafia presieduta dall’On. Claudio Fava ha messo nero su bianco che non è plausibile l’ipotesi dell’attentato mafioso con intenzioni stragiste e nella relazione che ha presentato sulla vicenda Antoci ha parlato di un plausibile semplice atto dimostrativo. In alternativa, continua la relazione, bisognerebbe considerare come plausibile la simulazione di un attentato mafioso mai avvenuto.
Ricordiamo i fatti: Antoci, l’allora Presidente del Parco dei Nebrodi, la sera del 17 maggio 2016 stava andando a casa a Santo Stefano di Camastra (Messina), dopo un incontro a Cesarò, quando la sua auto blindata con scorta venne bloccata lungo la strada da alcuni massi e vennero sparati alcuni colpi di lupara contro la vettura da persone che poi riuscirono a scappare. Durante la sparatoria sopraggiunse il commissario Daniele Manganaro, con una auto di servizio, che inizio a sparare dei colpi di pistola mettendo in fuga i malviventi. La procura di Messina ha archiviato le indagini avviate in un primo momento senza arrivare a individuare alcun responsabile.
Ovviamente la reazione di Antoci non si è fatta attendere. E non è stato sufficiente che la commissione riconoscesse che Antoci è stato vittima in due delle tre ipotesi date, l’attentato mafioso stragista o il semplice atto dimostrativo mentre per l’ipotesi della simulazione si sarebbe trovato ad essere protagonista inconsapevole.
“Rimango basito, ha dichiarato Antoci, da una commissione che non solo dopo tre anni si occupa di quanto mi è accaduto ma anche che possa aver sminuito il lavoro certosino e meticoloso che per ben due anni la DDA di Messina e le forze dell’ordine hanno portato avanti senza sosta. Ho depositato alla commissione regionale una relazione di 27 pagine con allegati che sono di una chiarezza disarmante unita a intercettazioni telefoniche chiarissime e pesantissime. La commissione invece ha utilizzato audizioni di soggetti che non citano mai le fonti e che si sono avvalsi di sentito dire e di esposti dichiarati calunniosi . Non si fa politica, conclude Antoci, sulla vita degli altri e dando spunti a delegittimazioni e mascariamento”.
Certo che in oltre cento pagine la Commissione smonta pezzo per pezzo la storia e la vicenda che conosciamo di quello che in un primo momento era apparso come uno degli attentati mafiosi più rilevanti degli ultimi decenni. Un fatto mafioso di così alto spessore la cui risonanza riverbera nelle considerazioni dell’allora Capo della Procura di Messina Guido Lo Forte, oggi in pensioni.
“C’è una terza mafia, nella provincia di Messina, che è strutturalmente dopo la mafia messinese, ecco, una terza mafia, quella nebroidea, che forse è storicamente la più antica, e che sta rialzando la testa. Nell’ultimo decennio tutta la provincia di Messina, da Villafranca fino al confine con la provincia di Palermo, era sottoposta a un controllo della mafia barcellonese. Formalmente rimanevano in vita le altre mafie tradizionali, ciascuna competente per il suo territorio, ma la politica criminale generale la facevano i barcellonesi, perché dipendeva da un rapporto di forza. Per questo l’azione di contrasto si è particolarmente incentrata su questa organizzazione. Indebolendosi questa organizzazione, evidentemente, ci sono dei fenomeni di tendenziale riemersione. Era stato previsto, tant’è vero che da tempo sono in corso delle indagini abbastanza estese e variegate, che riguardano anche questo territorio.
Detto questo vediamo quali sono i dubbi e le domande senza risposta che la Commissione Regionale avanza nelle conclusione della sua relazione sull’attentato del 17/18 maggio 2016 con l’intendimento di approfondire i singoli punti con successive disamine.
- Non è plausibile che quasi tutte le procedure operative per l’equipaggio di una scorta di terzo livello, qual era quella di Antoci, siano state violate (l’auto blindata abbandonata, la personalità scortata esposta al rischio del fuoco nemico, la fuga su un’auto non blindata, l’aver lasciato due agenti sul posto esposti ad una reazione degli aggressori…).
- Non è plausibile che gli attentatori, almeno tre (a giudicare dalle tre marche di sigarette riscontrate sui mozziconi), presumibilmente tutti armati (non v’è traccia nelle cronache di agguati di stampo mafioso a cui partecipino sicari non armati), non aprano il fuoco sui due poliziotti sopraggiunti al momento dell’attentato.
- Non è plausibile che, sui 35 chilometri di statale a disposizione tra Cesaro e San Fratello, il presunto commando mafioso scelga di organizzare l’attentato proprio a due chilometri dal rifugio della forestale, presidiato anche di notte da personale armato, né è plausibile che gli attentatori non fossero informati su questa circostanza.
- Non è comprensibile la ragione per cui il vicequestore aggiunto Manganaro non trasmetta le sue preoccupazioni ai poliziotti di scorta di Antoci (per “non agitarli”, sostiene) salvo poi cercare di raggiungerli temendo che potesse accadere qualcosa senza nemmeno tentare di mettersi in contatto telefonico con loro.
- Non è comprensibile la ragione per cui non sia stato disposto dai questori p.t. di Messina e dai PM incaricati dell’indagine un confronto tra i due funzionari di polizia, Manganaro e Ceraolo, che su molti punti rilevanti hanno continuato a contraddirsi e ad offrire ricostruzioni opposte.
- E’ censurabile il fatto che il dottor Manganaro abbia offerto su alcuni punti (la visita al vicequestore aggiunto Ceraolo, la paternita dell’espressione vedette mafiose) versioni diverse da quelle che aveva fornito ai PM in sede di informali informazioni.
- E’ per lo meno inusuale che di fronte ad un attentato ritenuto mafioso con finalità stragista la delega per le indagini venga ristretta alla squadra mobile di Messina e al commissariato di provenienza dei quattro poliziotti protagonisti del fatto, fatta eccezione per un contributo meramente tecnico dello SCO e per l’intervento del gabinetto della polizia scientifica di Roma molto tempo dopo.
- Non si comprende la ragione per cui al gabinetto della polizia scientifica di Roma, tra i vari quesiti sottoposti, non sia stato chiesto di valutare se la Thesis blindata di Antoci avrebbe potuto o meno superare il “blocco” delle pietre poste sulla carreggiata (e soprattutto quanto tempo e quante persone occorressero per posizionare quelle pietre).
- E’ impensabile che di un attentato di siffatta gravità nulla sapessero (stando ai risultati delle intercettazioni ambientali e al lavoro di intelligence investigativa) la criminalità locale né le famiglie di Cosa Nostra interessate al territorio nebroideo (Barcellona Pozzo di Gotto, Tortorici, Catania)
- E’ insolito infine che sull’intera ricostruzione dei fatti permangano versioni dei diretti protagonisti divergenti su più punti dirimenti: gli aggressori erano due o più di due? Sono stati visti mentre facevano fuoco o no? Sono stati visti fuggire nel bosco o no? Sono stati esplosi altri colpi dopo che il presidente Antoci era stato messo in salvo?
Davanti a tutti questi dubbi e mancate risposte gli organi inquirenti della Procura di Messina e il GIP si sono trovati costretti a dover prendere l’unica decisione possibile: l’archiviazione dell’indagine.
Pietro Giunta