Ogni anno sono abbandonati in Italia, solo tra i più tipici e diffusi animali d’affezione, ben 200mila gatti e 150mila cani (fonte Eurispes); i dati riguardanti gli anni tra il 2001 ed il 2003 si fermavano ad un massimo complessivo di 300mila: purtroppo è segnalato – al di là di ogni messaggio rassicurante inviato dalle istituzioni – un costante aumento del fenomeno.
I cani randagi vaganti attualmente sono oltre 600mila; circa 70mila sono i cani girovaghi in Sicilia, poco meno, ovvero all’incirca 65mila in Calabria. L’animale viene considerato da tante, troppe persone, un giocattolo di cui ci si può disfare in qualunque momento ed il suo abbandono è fonte di numerosi problemi. L’animale lasciato solo, ormai addomesticato, non è abituato a procurarsi il cibo e va incontro a volte a morte per inedia o per sete: in particolare, alcuni animali, abbandonati perché vecchi o malati, non hanno alcuna possibilità di riuscire a sopravvivere. A questo bisogna aggiungere il trauma psicologico dell’essere stati abbandonati. Gli animali lasciati ai bordi di una strada possono causare incidenti automobilistici. Gli incidenti che si ritiene possano essere stati provocati direttamente dal triste fenomeno sono circa 4mila l’anno, con 400 persone ferite ed almeno una ventina di morti, considerando solo le vittime umane (fonte Animalisti Italiani). Varie ragioni insieme (di tipo culturale, economico, strutturale – nel senso di paurose ‘carenze’) fan sì che le nostre regioni – ed in genere un po’ tutte le regioni del sud Italia – siano particolarmente esposte al fenomeno. Gli animalisti conoscono purtroppo assai bene il problema ed è fondamentale sia portato a conoscenza anche di chi lo ritiene un fattore totalmente secondario (“ma in fondo a me che me ne importa se un cane o un gatto gira per strada?”, potrebbe obiettare qualcuno poco informato). Come Paolo Ricci (autore di “La Gomorrah animale” ed appassionato divulgatore animalista) dimostra in una sua analisi che molti animalisti conoscono bene, al Sud il fenomeno del randagismo è spesso strettamente correlato a quello della criminalità organizzata, molto fiorente dalle nostre parti e per la quale, aspetti quali ‘zoomafia’, combattimenti clandestini in genere, canili lager, mercificazione dell’animale, vivo o morto, costituiscono voci del bilancio delle attività tra le più fiorenti e le meno note.
Una norma della legge del 14 agosto 1993 stabilisce che: “i cani vaganti ritrovati, catturati, o comunque ricoverati presso strutture non possono essere soppressi”; l’articolo 544 del codice penale recita inoltre: “delitti contro il sentimento per gli animali” prevede che “chiunque, per crudeltà o per necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi”.
Pur a seguito della morte di un bimbo di 10 anni, sbranato da cani randagi, in quel di Modica (RG), nessuno in quella città si curò di spiegare alla popolazione scioccata che tale fenomeno orribile venne provocato dall’abbandono di cani, ormai ridotti alla fame; il comportamento delle istituzioni locali fu agghiacciante: un prete, Don Salvatore Cerreto, si scagliò apertamente contro gli animali, denunciando una ‘società degli idoli che privilegia gli animali alle persone umane’ e dopo il sermone dell”illuminato parroco’ cominciarono a formarsi i cosi detti ‘lynching party’ (termine acutamente anglosassone che richiama il lontano ‘far west’ di una democrazia della quale spesso non siamo all’altezza e che letteralmente possiamo tradurre come ‘comitati per il linciaggio’); il sindaco della cittadina, tal Antonello Buscema, urlò nel suo dialetto “scendo il cane e lo sparo” (o qualcosa di simile); si cominciò a sparare da tutte le parti (furono sotto gli occhi di tutti le immagini di varie persone che sparavano ai cani, tanto che persino il Ministro Maroni fu costretto ad intervenire non potendo più ignorare ciò che stava accadendo.
Questo fu l’approccio delle istituzioni al problema del randagismo: un fenomeno che per anni ed anni avevano tranquillamente permesso che continuasse ad alimentarsi fino ad esplodere.
E chi sa dire con assoluta certezza che fine abbiano fatto tutti i superstiti tra i cani di Modica?
Chi può assicurarci inoltre sulla qualità dei canili italiani, in specie di quelli del sud ed in particolar modo delle nostre regioni, anche nel rispetto degli stessi canili che applicano più o meno rigidamente le norme concordate e vigenti nel nostro Paese in materia di rispetto degli animali?
Chi può garantire anche al più indicibile dei ‘malpensanti’ che i controlli medici siano regolarmente eseguiti, che le Asl siano presenti e non contengano funzionari corrotti per eseguire rapporti ‘aggiustati’, che gli animali presenti siano regolarmente registrati e che siano adeguatamente rifocillati e trattati se a volte le visite e le perlustrazioni degli animalisti medesimi sono rese difficili quando invece dovrebbero essere sempre più favorite anche da un’adeguata collocazione dello stesso canile, reso visibile a tutti e non circondato da mura impenetrabili che possano fare nascere il sospetto che all’interno possa esser celato qualcosa che è meglio… non sia visibile?
Una più adeguata prevenzione nei confronti del randagismo, contenente anche misure molto maggiormente repressive nei confronti di chi abbandoni un animale o lo maltratti ma con più mirate azioni prima che l’animale sia adottato (tra le quali la patente per chi possieda un animale può essere un’idea valida ma solo se accompagnata da tutta una serie di altre iniziative in tal senso, con la possibilità di effettuare maggiori controlli nei confronti di chi di un animale sia proprietario), una maggiore opera di prevenzione (con una campagna di sensibilizzazione nelle scuole, a partire da elementari e medie) nei confronti del rapporto tra uomo e animale, accompagnata da una più attenta osservazione-repressione e rieducazione nei confronti di minori che commettano crimini nei confronti degli animali medesimi, un’azione possente nei confronti della criminalità organizzata costituita non solo da parole nella direzione della repressione di tutti i crimini che comportino lo sfruttamento animale, essere senziente che dovrebbe essere quasi parificato dal legislatore nelle norme al maltrattamento nei confronti dell’essere umano e la possibilità di fornire a soggetti quali le associazioni animaliste e gli animalisti medesimi un maggior potere nei controlli per l’effettuazione delle denunce (controlli che comportino parallelamente l’apertura sempre più consistente di canili, allevamenti, macelli, strutture ove si pratichi la sperimentazione legale nei confronti di cavie, ecc….) non possono che essere delle conquiste legittime e necessarie per una società che possa professarsi autenticamente civile, poiché, come Gandhi affermava, ‘il grado di democrazia e la misura stessa della civiltà di una nazione è misurata da come questa stessa nazione è capace di trattare i propri animali’.