Pubblichiamo il testo integrale della relazione stilata dal Brigadiere della Guardia di Finanza, Giuseppe De Luca, riguardo il tragico evento che ha colpito Giampilieri il primo ottobre.
Il sottoscritto Brig. De Luca Giuseppe in forza alla Compagnia Guardia di Finanza di Messina dichiara quanto segue:
in data 01.10.2009 mentre mi trovavo in servizio alla caserma, con turno 08.00 – 08.00, come Sottufficiale di servizio, dalle ore 19.45 circa ricevevo diverse telefonate da parte di mia figlia Dalila, la quale preoccupata mi metteva al corrente sulle fortissime precipitazioni che in quel momento si stavano verificando a Giampilieri Superiore.
Come conseguenza di tali comunicazioni e preoccupato della situazione, in quanto nella zona si trovavano mia figlia con il fidanzato, mia madre e i miei suoceri, iniziai a ritelefonare più volte a mia figlia, chiedendo notizie sulla situazione e allo stesso tempo cercavo di comunicare telefonicamente con mia madre, ma la stessa non rispondeva al telefono.
Preoccupato per i miei cari, decisi di telefonare al Luogotenente Muscarà Nicola che si trovava presso l’abitazione di suo padre sita in Giampilieri Superiore, il quale mi comunicava che la situazione era divenuta catastrofica, che le abitazioni erano state coperte dal fango sino ai primi piani, nella strada c’era un groviglio di macchine una sopra l’altra e che ancora pioveva fortissimo.
Allarmato da tale situazione chiamavo il Maggiore Rotella, mio Comandante di Compagnia, riferendogli l’accaduto e chiedevo il permesso di lasciare il servizio, permesso che mi è stato accordato subito.
Dopo essermi cambiato ed indossato la cerata da motorino, stante le abbondanti precipitazioni, prendevo lo scooter e uscivo dalla caserma alle ore 21.55 circa per recarmi presso la mia abitazione sita in Zafferia(Messina).
Mentre transitavo nella via La Farina, l’acqua era alta 40 cm circa e pregavo che lo scooter non si fermasse, fortunatamente non si è fermato.
Raggiunta la mia abitazione, prendevo le chiavi della macchina, indossavo gli stivali e caricavo nella vettura tutto quello che mi sembrava necessario per raggiungere Giampilieri.
Subito mi avviavo unitamente a mia figlia Nastassja verso Giampilieri e giunto a Briga Marina, fui costretto a parcheggiare, in quanto la strada era bloccata da grandi ammassi di detriti e fango e dalla prima ruspa.
Vista l’impossibilità a proseguire con il mezzo, decidevo, alle ore 23.10 circa, di posteggiare l’auto e lasciare, stante la pericolosità della situazione, mia figlia nell’autovettura cominciando ad incamminarmi verso Giampilieri Superiore percorrendo la Statale 114.
Già dal primo tratto di strada mi rendevo conto della gravità della situazione, in quanto la stessa era completamente coperta da metri di fango e detriti vari, i quali rendevano difficoltoso e faticoso il camminare, tale situazione mi faceva sprofondare nel fango sino alle tasche dei pantaloni.
Raggiunto il bivio di Giampilieri Marina, sempre sotto la pioggia battente, direzione Giampilieri Superiore, il fango esistente mi impediva la camminata, quindi decidevo di proseguire sotto il muro della ferrovia alla mia destra, dove vi erano gli scoli dell’acqua piovana che scendevano pieni, formando un ruscello che mi permetteva di camminare senza affondare.
In questa fase, vedevo che all’interno del tabacchino, alla mia sinistra, si trovavano alcuni ragazzi che si erano messi in salvo tra i quali Costa Alessandro, figlio del proprietario del tabacchino che mi diceva: “pazzo pazzo dove va”.
Arrampicandomi nel fango giunto sotto il ponte della ferrovia, anch’esso quasi pieno di fango, fui costretto a piegarmi nel ridottissimo spazio rimasto libero, circa un metro e proseguivo faticosamente la salita.
All’altezza della stazione di Giampilieri Marina venivo nuovamente apostrofato da un uomo, anch’esso al riparo assieme ad altri, al secondo piano della palazzina delle ex Ferrovie fronte stazione, con frasi “pazzo dove va lei, si fermi, è pericoloso” e avendo riconosciuto la figura dello zio di mia moglie Giardina Domenico, togliendomi il cappello venivo riconosciuto dallo stesso che chiamandomi per nome “Pippo” mi ripeteva di fermarmi che era pericoloso e che potevo morire, io con la mano aperta senza aprire bocca, vista la mia disperazione, rivolgendo lo sguardo verso di lui, gli feci capire di stare zitto.
Proseguivo la marcia verso il paese e dopo aver superato il tratto del rettilineo della stazione di Giampilieri Marina, trovavo la strada non più infangata, ma solo con molta terra e rocce, nonostante le ferite alle unghie dei piedi che mi facevano zoppicare, giungevo in prossimità del primo ponte di Giampilieri Superiore, notavo il torrente straripato, dove galleggiava di tutto.
Dopo aver valutato la pericolosità, vista la forza del torrente in piena, decidevo di non attraversare lo stesso ponte che conduceva verso la chiesa di Santa Lucia, ma di continuare dritto verso il paese.
Giunto all’altezza del cartello segnaletico “Giampilieri Superiore”, la situazione meteorologica già drammatica, diventava infernale ed io spinto dalla disperazione continuavo la mia marcia pur affondando continuamente nella melma ad ogni passo, e raggiungendo le case popolari in Giampilieri S., precisamente sotto l’abitazione del padre del Luogotenente Muscarà Nicola dove c’erano numerose macchine aggrovigliate l’una sull’altra che mi ostacolavano il passaggio.
A questo punto mi sono arrampicato sulle macchine e oltrepassando gli ostacoli e continuando a sprofondare nella melma, sono giunto alla Farmacia del paese, dove notavo alla mia destra una parte di un corpo attaccato al muro.
Capendo subito che non vi era più nulla da fare, proseguivo la mia marcia sino al centro della piazza Pozzo dove notavo un secondo corpo coperto da lenzuolo e con due ragazzi nelle vicinanze. Dopo aver parzialmente scoperto il corpo,che ho riconosciuto come il signor Zagami Salvatore,subito ho provveduto immediatamente a ricoprirlo.
Nello stesso tempo vedevo, alla sinistra della scuola elementare nuova, un gruppo di ragazzi che si erano messi in salvo, la cui identità era nota dal fidanzato di mia figlia Santo Busà.
Subito dopo vedevo mia figlia Dalila e il fidanzato Busà Santo, i quali mi riferivano che dalla via Puntale Bassa era impossibile passare.
Dopo tale comunicazione, decidemmo di passare dalla via dove era ubicata la macelleria D’angelo, che a causa del fango e dei detriti sfioravamo con la testa i secondi piani delle case.
Raggiungendo la parte alta del paese sopra la Chiesa in via Giovanni Piliero, arrivavamo in prossimità da dove si raggiungeva la parte alta di Via Puntale.
Arrivato in prossimità della discesa della Via Puntale, erano circa le 00.20, constatai che l’entrata era bloccata da massi, fango, macerie, una macchina, un motorino, un albero ecc. ecc. che rendevano difficoltoso scendere nella predetta via Puntale.
Mia figlia e il fidanzato invano hanno cercato di fermarmi, ho proseguito, incurante del pericolo a cui andavo incontro, in una zona completamente buia.
Senza nessuna esitazione nel buio profondo, mi sono apprestato a scendere nella bocca del “vulcano”, così definito da me da com’era diventata quella che era la via Puntale, un dirupo ripido di circa 8 metri di fango, e senza sapere a cosa andavo incontro, ho iniziato a scendere a fatica, tenendomi da una radice di un albero e da un pezzo di ferro.
Arrivato nel cratere provocato dalla caduta della montagna, solo, disorientato, al buio completo e non riuscendo neanche a riconoscere completamente lo stato dei luoghi, in quanto modificato dall’alluvione, mi accingevo a scendere e, passo dopo passo, sono arrivato vicino ad un tubo sradicato dal terreno che inizialmente pensavo fosse un tubo dell’acqua, ma subito dopo dall’odore ho capito che si trattava di un tubo di gas rotto, dal quale fuoriusciva una grande quantità di gas.
Accostandomi al tubo a circa ad 1 metro, ho provveduto a superarlo lentamente e ancora, guardandomi intorno, non riuscivo ad individuare il vicolo dove si trovava casa di mia madre.
Nel proseguire il cammino lungo quella che io ritenevo fosse la Via Puntale, sono arrivato in un punto dove alla mia destra vedevo al secondo piano di una casa la sagoma di una persona con le braccia alzate, che chiamava l’attenzione del sottoscritto, chiedendo con voce alta e terrorizzata aiuto, in quanto vi erano due feriti gravi. Il giorno dopo ho capito che si trattava di Marica Neri. Mi chiedevo inoltre come era possibile, che quella era l’unica casa da dove usciva del fumo,non riuscendo a spiegarmi il perché.
Contemporaneamente, alla mia sinistra, in mezzo alle macerie, sentivo chiamare aiuto, completamente disorientato stante l’oscurità totale e la completa trasformazione dello stato dei luoghi da me conosciuti e non avendo con me alcuna sorgente luminosa ho continuato a scendere per individuare e cercare casa di mia madre, il cammino si faceva sempre più difficile in quanto nel fango si sprofondava sempre di più e sono così giunto in un punto in cui per poter continuare a camminare dovevo fare un balzo di un metro e mezzo circa e dopo aver valutato la possibilità di sprofondare o meno, ho preso la decisione di rischiare.
Fortunatamente sono sprofondato solo fino ai fianchi e uscendo a fatica dalla melma, un paio di metri più avanti mi ha aperto la finestra una signora di nome Fortunata alla quale chiedevo “siete salvi”? mentre la stessa mi rispose che lei e i suoi bimbi stavano bene; quest’ultima mi diceva, altresì, in totale stato di confusione, che voleva andare al paese di Galati, comprendendo il suo trauma psichico la rassicurai dicendole che lei neanche immaginava quello che fosse successo e la consigliai di chiudere la luce, la bombola del gas, di centellinarsi l’acqua e di razionalizzarsi il mangiare, ma la signora mi ha risposto che ne aveva poco e non poteva stare a lungo e continuava a chiedermi di aiutarla per raggiungere il villaggio di Galati.
Come ultima cosa chiesi alla signora, ancora disorientato “ma dov’è la via Puntale? “ e lei mi rispose: “ ma lei si trova nel Porticato”.
Allora il sottoscritto, capendo di essere fuori zona da dove si trovava la via Puntale, rassicurando nuovamente la signora che mi chiedeva di non dimenticarmi di lei, le risposi che appena fossero arrivati i soccorsi li avrei indirizzati anche da lei. Così feci.
Ho così deciso di tornare indietro e mentre risalivo sentivo delle esplosioni, raggiunto il medesimo punto dove in precedenza avevo sentito la richiesta di aiuto di alcune persone, sempre preso dalla disperazione di cercare casa di mia madre, sentivo una voce angelica e soave che mi diceva senza alcuna inflessione dialettale: “Su, torna indietro, Su torna indietro, Vieni qui da me, Vieni a prendere il bambino, Porta in salvo il bambino”….
A questo punto mi sono fermato e rabbrividito e scosso, sono scoppiato a piangere e facendo due passi indietro, cercai di individuare da dove provenisse la voce.
Non vedendo nulla, mi sono abbassato in direzione della voce e sotto le macerie di quello che restava di una casa, (veggasi fotocopie dello stato dei luoghi fotografate nove giorni dopo l’alluvione), cercavo di individuare la persona e le dicevo “il bambino lo prendo! te lo prendo il bambino! Te lo salvo il bambino! devo solo trovare il modo come entrare là dentro” ripetendo tali frasi più volte.
Al fine di raggiungere la donna riuscivo ad arrampicarmi sopra la melma lato muro per circa 2 metri ed entrato in questo posto, riuscivo ad individuare una donna incastrata tra le macerie, in seguito identificata con il nome di Katia Panarello, la stessa aveva sotto la schiena almeno mezzo metro di fango e le gambe, che non si vedevano completamente, coperte da almeno un metro di fango e sul suo petto giaceva un bambino, che inizialmente non dava segni di vita.
Ivi giunto, mi sono messo in ginocchio accanto a lei ed ho provveduto subito a prendere il bambino poggiandomelo sul braccio sinistro.
Erano circa le 00.45 e mentre ero pronto ad andare via, la donna incastrata, ancora una volta, con la voce sopradescritta, mi ha chiesto di stirarle per 2 volte le braccia, cosa che ho fatto con la mano destra con tutta la mia forza e vedendo che la stessa non era in grado di comandarle le adagiavo sul suo petto.
Successivamente, cercavo di rendere le condizioni della donna meno gravose e vedendo 2 peluche grossi alla mia destra, ho provveduto a metterli sotto il suo capo, poichè lo stesso era penzolante.
Prima di andare via, sempre piangendo , cercai di rassicurare la donna accarezzandogli il capo dicendole “tieni duro, arrivano i soccorsi!”, la stessa tranquillizzata non ebbe alcuna reazione.
Abbracciando il bambino e accarezzandole con la mano destra il capo ho sentito che aveva la testa bagnata, inizialmente pensai che fosse la pioggia che cadeva.
Riprendendo la strada di ritorno, facendo un balzo, poi pochi passi, mi sono trovato nella stessa direzione della donna incastrata e le chiesi con tono alto “come si chiama il bambino, come si chiama il bambino” lei mi rispose questa volta con voce normale, si chiama: Panarello! Panarello! Panarello!.
Mentre iniziavo a portare in salvo il bambino, lo stesso si è messo a piangere, situazione che mi riempì di gioia, ed al fine di dargli la maggiore protezione possibile, lo strinsi al mio petto e incominciai ad accarezzarlo affettuosamente, usando ripetutamente l’espressione “bo bo gioia mia – ti porto in salvo” e nello stesso tempo cercavo di rassicurarlo. Il bimbo, in conseguenza di ciò, smise di piangere..
Contemporaneamente ho sentito chiamare con voci alte e disperate alcune persone alle mie spalle che formulavano richieste d’aiuto.
Il sottoscritto fermandosi una frazione di secondo, e girandosi vedeva un signore nel terrazzo della sua abitazione, successivamente riconosciuto come il signor Alongi, rassicuravo tutti dicendo loro più volte: “arrivano i soccorsi state tranquilli”.
Intanto provvedevo a salire con il bimbo tra le braccia e arrivato ad un certo punto della via Puntale, visto che ero spossato dalla fatica, ho urlato a mio genero Santi, che aspettava a circa 50 metri in una zona sicura fuori dalla Via Puntale, “vienimi incontro, ho un bambino tra le braccia, non c’è la faccio ad arrivare fin lassù.
Lo stesso, arrivato nella rampa di fango della via Puntale, la stessa da cui sono sceso io, con un balzo mi è venuto incontro, permettendomi così di consegnargli il bambino tra le sue braccia, ripetendogli più volte che il bambino si chiamava “Panarello ricordatelo! Ricordatelo! perché è piccino”. Questo gesto, permetteva così di portare al sicuro il bambino all’inizio della via G. Piliero dove ad attendere c’era mia figlia.
Nello stesso istante sopraggiungevano 2 uomini, abitanti di Giampilieri, di cui uno di nome Antonio Rodilosso e l’ altro di nome Placido Scionti.
Lo Scionti, stante il buio pesto, scambiava il bambino per uno dei suoi 2 nipoti e lo portava via con se a casa con l’ aiuto del sig. Rodilosso .
In seguito, mi è stato riferito, che mentre provvedevano a curargli le ferite alla testa del bambino, la moglie di Placido Scionti si è subito resa conto che non era il loro nipote, ma che era “Brian”, il figlio di Daniela Panarello e quindi hanno provveduto immediatamente a portarlo ai Carabinieri presso l’ Unità di Crisi del paese che lo hanno consegnato alla legittima madre.
Il sottoscritto, assicurandosi di aver portato in salvo il bambino ritornava indietro e riscendeva nella voragine creata dalla montagna in via Puntale e questa volta con maggiore senso di orientamento mi arrampicavo nella montagna di fango che portava nel vico dove c’era la casa di mia madre.
Ivi giunto, constatavo che la casa era ancora lì, e che non era stata investita in pieno dal torrente, bussando forte più volte alla porta, non ebbi alcuna risposta.
Non avendo la chiave di entrata, con il senso di orientamento decisi di scavalcare la casa dal tetto e buttarmi sul balcone interno, anche lì ho bussato alle porte, ma non avendo nessuna risposta ho provveduto con 2 spallate ad aprire la vetrata del salotto dove sono entrato e ho iniziato a chiamare più volte “mamma, mamma”, non avendo di nuovo risposta, cercando di orientarmi al buio più completo sono andato a tastare con le mani il divano e dopo il letto nella camera da letto, ma non l’ ho trovata.
Quasi subito mi sono ricordato che mia madre, teneva sul comò 2 torce che ho preso.
Dopo aver ispezionato il magazzino della casa portandomi fuori dall’immobile ho chiamato a voce alta la signora Flavia Restuccia (vicina di casa di mia madre) e le ho chiesto se avesse visto mia madre o se sapesse dove fosse, ma questa mi rispose “non lo so, non l’ho vista”. Anche a lei dissi di spegnere la luce e chiudere il gas.
Ripresi ad ispezionare la casa e costatando che mia madre non c’era, ho aperto la porta della cucina, ho iniziato a chiamare a voce alta un vicino di casa di nome Gaetano Magaudda, ma subito non ebbi risposta, ho deciso di strillare più forte per 3-4 volte, lo stesso mi ha risposto da un’ altra casa lontana, dove si era messo in salvo insieme ad altre famiglie e gli chiesi dapprima se erano tutti salvi ed in seguito, se avesse visto mia madre o se sapesse dove fosse andata, strillando mi rispose che loro erano in salvo e di non aver visto mia madre ne tantomeno sapesse dove fosse andata.
A quel punto ho chiuso la porta e sono ritornato dove mi aspettavano mia figlia e mio genero.
Valutando la situazione e riflettendo dove mia madre potesse essere andata, presi la decisione di aprire con un grosso masso la porta di entrata di casa della Signora Calogero Santa, dopo essere entrato ed ispezionato tutti i locali rimasti parzialmente sani della stessa abitazione, non ho trovato all’interno né la proprietaria ne mia madre.
Ritornato in strada, chiesi a mio genero il suo cellulare, (poiché i miei cellulari erano rimasti distrutti dal fango) feci una telefonata alla Sala Operativa del Comando di appartenenza e precisamente all’utenza 117 dove gli comunicavo, visto il pericolo, di far chiudere immediatamente il gas, perché sarebbe saltato il paese in aria.
La stessa Sala Operativa contemporaneamente mi metteva in comunicazione con l’Unità di crisi della Prefettura alla quale preoccupatissimo gli dicevo del disastro che era accaduto in Giampilieri Sup. Inoltre li informavo contemporaneamente che, non erano sufficienti i soccorsi che c’erano nella provincia di Messina, ma ci volevano i soccorsi di tutta la Sicilia e ho chiuso la comunicazione.
Immediatamente dopo, io, mia figlia e mio genero, ci siamo recati nella parte bassa del paese dove abbiamo incontrato il figlio della signora dove presumevo si trovasse mia madre, di nome Giuseppe De Luca(omonimo -non parente) e con modi adeguati lo abbiamo informato di quello che era accaduto in via Puntale.
Risaliti nuovamente nella via Puntale mi sono ributtato nel cratere creato dallo smottamento della montagna e avvicinandomi all’abitazione della signora Calogero dove presumevo si trovasse mia madre, attraversai un passaggio molto stretto a causa dei calcinacci crollati dalla stessa casa, e riuscivo a raggiungere il piano terra della stanza adibita a cucina, la quale era piena di melma fino ad un metro dal tetto. Allungandomi e tirandomi con la braccia sopra il fango della cucina feci un ulteriore disperato tentativo e urlai ripetutamente le parole “mamma! Mamma! c’è nessuno !” ma non ebbi alcuna risposta. Dopo, con la torcia che mi ero procurato, ho illuminato tutta la cucina piena di melma per vedere se ci fossero dei corpi, ma non ho visto nessuno. Alla mia presenza i corpi di mia madre, della signora Calogero e della piccola Ilaria sono stati ritrovati dalle ore 00:30-01:30 del giorno 08/10/2009 sotto la melma in cucina dell’abitazione della sig.ra Calogero, ad un metro dove io mi ero allungato nei giorni precedenti.
Ritornato nel luogo dove mi aspettavano mia figlia e mio genero, alle ore 02,30 circa arrivavano i primi soccorritori composto da un gruppo di vigili del fuoco.
Io, seguito da mio genero (e non da tale sig. Scarcella Eliseo, come erroneamente è stato rapportato dai vigili del fuoco) essendo a conoscenza dello stato dei luoghi provvedevo ad indicargli la strada facendo scendere loro dietro di me nelle macerie di via Puntale, e nonostante l’enorme preoccupazione per il pericolo cui si andava incontro, dopo avergli indicato l’esistenza di un tubo del gas rotto e delle continue fuoriuscite di metano, li ho condotti all’altezza delle 2 abitazioni dove c’erano i feriti, e più precisamente gli indicai l’abitazione all’interno della quale si trovava la donna incastrata sotto le macerie.
Subito dopo proseguii a scendere con mio genero, giungendo nel Porticato di via Vallone, per la seconda volta, dove ho visto affacciato al secondo piano di un balcone il signor ”Mangano” al quale chiedevo se da quel piccolo vico di un metro, si poteva raggiungere via Lena.
Quest’ ultimo mi ha risposto di si, dandomi istruzioni di come fare.
Aprendo una casa in costruzione in quel vico, ho provveduto a prendere tutte le tavole che c’erano dentro per gettarle nei punti in cui si affondava.
dopo ho raggiunto l’impraticabile via Lena e nel retro della stessa via, nel giardinetto di una abitazione, ho visto un altro corpo senza vita di una persona che non sono riuscito a riconoscere. Poco dopo, dal secondo piano di una abitazione, si è affacciata una signora( di nome Manuela, moglie di Giovanni De luca) e le chiesi di gettarmi un lenzuolo al fine di coprire il corpo.
Successivamente mi hanno riferito che si trattava del Sig. Letterio Maugeri.
Sempre in via Lena, con molta fatica, affondando nella melma, sono riuscito a raggiungere l’abitazione dei miei suoceri, dove mi sono assicurato che fossero tutti salvi.
Così feci anche con un vicino di casa dei miei suoceri, tale Giovanni De Luca(soprannominato sceriffo), al quale ho chiesto se nella loro famiglia fossero tutti salvi.
Giunto a pochi metri da casa di mio suocero, entrai in un’altra abitazione in ristrutturazione e presi tutte le tavole e materiale vario al fine di allungarle sul fango per potervi camminare.
Tale operazione mi permise di percorrere per intero la Via Lena.
Nella mattina seguente del 2 Ottobre 2009, quando i soccorsi arrivavano in massa, davo indicazione loro, dov’erano ubicate le case di via Puntale ed eventuali corpi e feriti che ci potessero essere nelle stesse.
Vista la necessità sono andato a casa di mia madre ed ho preso una scala, una cesoia, una pala, una zappa ed una grossa mazza di ferro che ho messo a disposizione dei soccorritori.
Abbiamo scavato con le mani e con i pochi mezzi, in luoghi dove presumibilmente c’erano le persone.
Nella via Vallone, accanto l’ inizio di via Puntale, ho scavato insieme ad un vigile del fuoco rinvenendo ed estraendo mezzo corpo di sesso femminile (parte inferiore), ancora non identificata.
Nei giorni successivi, ho collaborato sempre con tutti i soccorritori, finché non sono stati estratti dalle macerie tutti i morti della via Puntale.
Alla sera di giorno 2 Ottobre 2009 mi sono recato presso l’infermeria dell’ Unità di crisi per farmi medicare le unghie sanguinati dei piedi perché molto dolorose e a disinfettarmi le mani perchè tutte graffiate.
Dal giorno successivo all’alluvione, mi sono visto attorniato anche dai miei Superiori della Guardia di Finanza di Palermo e Messina, Generale di Divisione Domenico Achille, Colonnello Decio Paparoni e del Maggiore Domenico Rotella con tutti gli uomini disponibili, standomi vicino e aiutando la popolazione alluvionata. Inoltre in quei giorni ho ricevuto tanta solidarietà da tutta Italia da parte di tanti colleghi del Corpo e da tanta gente comune.
Come conseguenza di tali comunicazioni e preoccupato della situazione, in quanto nella zona si trovavano mia figlia con il fidanzato, mia madre e i miei suoceri, iniziai a ritelefonare più volte a mia figlia, chiedendo notizie sulla situazione e allo stesso tempo cercavo di comunicare telefonicamente con mia madre, ma la stessa non rispondeva al telefono.
Preoccupato per i miei cari, decisi di telefonare al Luogotenente Muscarà Nicola che si trovava presso l’abitazione di suo padre sita in Giampilieri Superiore, il quale mi comunicava che la situazione era divenuta catastrofica, che le abitazioni erano state coperte dal fango sino ai primi piani, nella strada c’era un groviglio di macchine una sopra l’altra e che ancora pioveva fortissimo.
Allarmato da tale situazione chiamavo il Maggiore Rotella, mio Comandante di Compagnia, riferendogli l’accaduto e chiedevo il permesso di lasciare il servizio, permesso che mi è stato accordato subito.
Dopo essermi cambiato ed indossato la cerata da motorino, stante le abbondanti precipitazioni, prendevo lo scooter e uscivo dalla caserma alle ore 21.55 circa per recarmi presso la mia abitazione sita in Zafferia(Messina).
Mentre transitavo nella via La Farina, l’acqua era alta 40 cm circa e pregavo che lo scooter non si fermasse, fortunatamente non si è fermato.
Raggiunta la mia abitazione, prendevo le chiavi della macchina, indossavo gli stivali e caricavo nella vettura tutto quello che mi sembrava necessario per raggiungere Giampilieri.
Subito mi avviavo unitamente a mia figlia Nastassja verso Giampilieri e giunto a Briga Marina, fui costretto a parcheggiare, in quanto la strada era bloccata da grandi ammassi di detriti e fango e dalla prima ruspa.
Vista l’impossibilità a proseguire con il mezzo, decidevo, alle ore 23.10 circa, di posteggiare l’auto e lasciare, stante la pericolosità della situazione, mia figlia nell’autovettura cominciando ad incamminarmi verso Giampilieri Superiore percorrendo la Statale 114.
Già dal primo tratto di strada mi rendevo conto della gravità della situazione, in quanto la stessa era completamente coperta da metri di fango e detriti vari, i quali rendevano difficoltoso e faticoso il camminare, tale situazione mi faceva sprofondare nel fango sino alle tasche dei pantaloni.
Raggiunto il bivio di Giampilieri Marina, sempre sotto la pioggia battente, direzione Giampilieri Superiore, il fango esistente mi impediva la camminata, quindi decidevo di proseguire sotto il muro della ferrovia alla mia destra, dove vi erano gli scoli dell’acqua piovana che scendevano pieni, formando un ruscello che mi permetteva di camminare senza affondare.
In questa fase, vedevo che all’interno del tabacchino, alla mia sinistra, si trovavano alcuni ragazzi che si erano messi in salvo tra i quali Costa Alessandro, figlio del proprietario del tabacchino che mi diceva: “pazzo pazzo dove va”.
Arrampicandomi nel fango giunto sotto il ponte della ferrovia, anch’esso quasi pieno di fango, fui costretto a piegarmi nel ridottissimo spazio rimasto libero, circa un metro e proseguivo faticosamente la salita.
All’altezza della stazione di Giampilieri Marina venivo nuovamente apostrofato da un uomo, anch’esso al riparo assieme ad altri, al secondo piano della palazzina delle ex Ferrovie fronte stazione, con frasi “pazzo dove va lei, si fermi, è pericoloso” e avendo riconosciuto la figura dello zio di mia moglie Giardina Domenico, togliendomi il cappello venivo riconosciuto dallo stesso che chiamandomi per nome “Pippo” mi ripeteva di fermarmi che era pericoloso e che potevo morire, io con la mano aperta senza aprire bocca, vista la mia disperazione, rivolgendo lo sguardo verso di lui, gli feci capire di stare zitto.
Proseguivo la marcia verso il paese e dopo aver superato il tratto del rettilineo della stazione di Giampilieri Marina, trovavo la strada non più infangata, ma solo con molta terra e rocce, nonostante le ferite alle unghie dei piedi che mi facevano zoppicare, giungevo in prossimità del primo ponte di Giampilieri Superiore, notavo il torrente straripato, dove galleggiava di tutto.
Dopo aver valutato la pericolosità, vista la forza del torrente in piena, decidevo di non attraversare lo stesso ponte che conduceva verso la chiesa di Santa Lucia, ma di continuare dritto verso il paese.
Giunto all’altezza del cartello segnaletico “Giampilieri Superiore”, la situazione meteorologica già drammatica, diventava infernale ed io spinto dalla disperazione continuavo la mia marcia pur affondando continuamente nella melma ad ogni passo, e raggiungendo le case popolari in Giampilieri S., precisamente sotto l’abitazione del padre del Luogotenente Muscarà Nicola dove c’erano numerose macchine aggrovigliate l’una sull’altra che mi ostacolavano il passaggio.
A questo punto mi sono arrampicato sulle macchine e oltrepassando gli ostacoli e continuando a sprofondare nella melma, sono giunto alla Farmacia del paese, dove notavo alla mia destra una parte di un corpo attaccato al muro.
Capendo subito che non vi era più nulla da fare, proseguivo la mia marcia sino al centro della piazza Pozzo dove notavo un secondo corpo coperto da lenzuolo e con due ragazzi nelle vicinanze. Dopo aver parzialmente scoperto il corpo,che ho riconosciuto come il signor Zagami Salvatore,subito ho provveduto immediatamente a ricoprirlo.
Nello stesso tempo vedevo, alla sinistra della scuola elementare nuova, un gruppo di ragazzi che si erano messi in salvo, la cui identità era nota dal fidanzato di mia figlia Santo Busà.
Subito dopo vedevo mia figlia Dalila e il fidanzato Busà Santo, i quali mi riferivano che dalla via Puntale Bassa era impossibile passare.
Dopo tale comunicazione, decidemmo di passare dalla via dove era ubicata la macelleria D’angelo, che a causa del fango e dei detriti sfioravamo con la testa i secondi piani delle case.
Raggiungendo la parte alta del paese sopra la Chiesa in via Giovanni Piliero, arrivavamo in prossimità da dove si raggiungeva la parte alta di Via Puntale.
Arrivato in prossimità della discesa della Via Puntale, erano circa le 00.20, constatai che l’entrata era bloccata da massi, fango, macerie, una macchina, un motorino, un albero ecc. ecc. che rendevano difficoltoso scendere nella predetta via Puntale.
Mia figlia e il fidanzato invano hanno cercato di fermarmi, ho proseguito, incurante del pericolo a cui andavo incontro, in una zona completamente buia.
Senza nessuna esitazione nel buio profondo, mi sono apprestato a scendere nella bocca del “vulcano”, così definito da me da com’era diventata quella che era la via Puntale, un dirupo ripido di circa 8 metri di fango, e senza sapere a cosa andavo incontro, ho iniziato a scendere a fatica, tenendomi da una radice di un albero e da un pezzo di ferro.
Arrivato nel cratere provocato dalla caduta della montagna, solo, disorientato, al buio completo e non riuscendo neanche a riconoscere completamente lo stato dei luoghi, in quanto modificato dall’alluvione, mi accingevo a scendere e, passo dopo passo, sono arrivato vicino ad un tubo sradicato dal terreno che inizialmente pensavo fosse un tubo dell’acqua, ma subito dopo dall’odore ho capito che si trattava di un tubo di gas rotto, dal quale fuoriusciva una grande quantità di gas.
Accostandomi al tubo a circa ad 1 metro, ho provveduto a superarlo lentamente e ancora, guardandomi intorno, non riuscivo ad individuare il vicolo dove si trovava casa di mia madre.
Nel proseguire il cammino lungo quella che io ritenevo fosse la Via Puntale, sono arrivato in un punto dove alla mia destra vedevo al secondo piano di una casa la sagoma di una persona con le braccia alzate, che chiamava l’attenzione del sottoscritto, chiedendo con voce alta e terrorizzata aiuto, in quanto vi erano due feriti gravi. Il giorno dopo ho capito che si trattava di Marica Neri. Mi chiedevo inoltre come era possibile, che quella era l’unica casa da dove usciva del fumo,non riuscendo a spiegarmi il perché.
Contemporaneamente, alla mia sinistra, in mezzo alle macerie, sentivo chiamare aiuto, completamente disorientato stante l’oscurità totale e la completa trasformazione dello stato dei luoghi da me conosciuti e non avendo con me alcuna sorgente luminosa ho continuato a scendere per individuare e cercare casa di mia madre, il cammino si faceva sempre più difficile in quanto nel fango si sprofondava sempre di più e sono così giunto in un punto in cui per poter continuare a camminare dovevo fare un balzo di un metro e mezzo circa e dopo aver valutato la possibilità di sprofondare o meno, ho preso la decisione di rischiare.
Fortunatamente sono sprofondato solo fino ai fianchi e uscendo a fatica dalla melma, un paio di metri più avanti mi ha aperto la finestra una signora di nome Fortunata alla quale chiedevo “siete salvi”? mentre la stessa mi rispose che lei e i suoi bimbi stavano bene; quest’ultima mi diceva, altresì, in totale stato di confusione, che voleva andare al paese di Galati, comprendendo il suo trauma psichico la rassicurai dicendole che lei neanche immaginava quello che fosse successo e la consigliai di chiudere la luce, la bombola del gas, di centellinarsi l’acqua e di razionalizzarsi il mangiare, ma la signora mi ha risposto che ne aveva poco e non poteva stare a lungo e continuava a chiedermi di aiutarla per raggiungere il villaggio di Galati.
Come ultima cosa chiesi alla signora, ancora disorientato “ma dov’è la via Puntale? “ e lei mi rispose: “ ma lei si trova nel Porticato”.
Allora il sottoscritto, capendo di essere fuori zona da dove si trovava la via Puntale, rassicurando nuovamente la signora che mi chiedeva di non dimenticarmi di lei, le risposi che appena fossero arrivati i soccorsi li avrei indirizzati anche da lei. Così feci.
Ho così deciso di tornare indietro e mentre risalivo sentivo delle esplosioni, raggiunto il medesimo punto dove in precedenza avevo sentito la richiesta di aiuto di alcune persone, sempre preso dalla disperazione di cercare casa di mia madre, sentivo una voce angelica e soave che mi diceva senza alcuna inflessione dialettale: “Su, torna indietro, Su torna indietro, Vieni qui da me, Vieni a prendere il bambino, Porta in salvo il bambino”….
A questo punto mi sono fermato e rabbrividito e scosso, sono scoppiato a piangere e facendo due passi indietro, cercai di individuare da dove provenisse la voce.
Non vedendo nulla, mi sono abbassato in direzione della voce e sotto le macerie di quello che restava di una casa, (veggasi fotocopie dello stato dei luoghi fotografate nove giorni dopo l’alluvione), cercavo di individuare la persona e le dicevo “il bambino lo prendo! te lo prendo il bambino! Te lo salvo il bambino! devo solo trovare il modo come entrare là dentro” ripetendo tali frasi più volte.
Al fine di raggiungere la donna riuscivo ad arrampicarmi sopra la melma lato muro per circa 2 metri ed entrato in questo posto, riuscivo ad individuare una donna incastrata tra le macerie, in seguito identificata con il nome di Katia Panarello, la stessa aveva sotto la schiena almeno mezzo metro di fango e le gambe, che non si vedevano completamente, coperte da almeno un metro di fango e sul suo petto giaceva un bambino, che inizialmente non dava segni di vita.
Ivi giunto, mi sono messo in ginocchio accanto a lei ed ho provveduto subito a prendere il bambino poggiandomelo sul braccio sinistro.
Erano circa le 00.45 e mentre ero pronto ad andare via, la donna incastrata, ancora una volta, con la voce sopradescritta, mi ha chiesto di stirarle per 2 volte le braccia, cosa che ho fatto con la mano destra con tutta la mia forza e vedendo che la stessa non era in grado di comandarle le adagiavo sul suo petto.
Successivamente, cercavo di rendere le condizioni della donna meno gravose e vedendo 2 peluche grossi alla mia destra, ho provveduto a metterli sotto il suo capo, poichè lo stesso era penzolante.
Prima di andare via, sempre piangendo , cercai di rassicurare la donna accarezzandogli il capo dicendole “tieni duro, arrivano i soccorsi!”, la stessa tranquillizzata non ebbe alcuna reazione.
Abbracciando il bambino e accarezzandole con la mano destra il capo ho sentito che aveva la testa bagnata, inizialmente pensai che fosse la pioggia che cadeva.
Riprendendo la strada di ritorno, facendo un balzo, poi pochi passi, mi sono trovato nella stessa direzione della donna incastrata e le chiesi con tono alto “come si chiama il bambino, come si chiama il bambino” lei mi rispose questa volta con voce normale, si chiama: Panarello! Panarello! Panarello!.
Mentre iniziavo a portare in salvo il bambino, lo stesso si è messo a piangere, situazione che mi riempì di gioia, ed al fine di dargli la maggiore protezione possibile, lo strinsi al mio petto e incominciai ad accarezzarlo affettuosamente, usando ripetutamente l’espressione “bo bo gioia mia – ti porto in salvo” e nello stesso tempo cercavo di rassicurarlo. Il bimbo, in conseguenza di ciò, smise di piangere..
Contemporaneamente ho sentito chiamare con voci alte e disperate alcune persone alle mie spalle che formulavano richieste d’aiuto.
Il sottoscritto fermandosi una frazione di secondo, e girandosi vedeva un signore nel terrazzo della sua abitazione, successivamente riconosciuto come il signor Alongi, rassicuravo tutti dicendo loro più volte: “arrivano i soccorsi state tranquilli”.
Intanto provvedevo a salire con il bimbo tra le braccia e arrivato ad un certo punto della via Puntale, visto che ero spossato dalla fatica, ho urlato a mio genero Santi, che aspettava a circa 50 metri in una zona sicura fuori dalla Via Puntale, “vienimi incontro, ho un bambino tra le braccia, non c’è la faccio ad arrivare fin lassù.
Lo stesso, arrivato nella rampa di fango della via Puntale, la stessa da cui sono sceso io, con un balzo mi è venuto incontro, permettendomi così di consegnargli il bambino tra le sue braccia, ripetendogli più volte che il bambino si chiamava “Panarello ricordatelo! Ricordatelo! perché è piccino”. Questo gesto, permetteva così di portare al sicuro il bambino all’inizio della via G. Piliero dove ad attendere c’era mia figlia.
Nello stesso istante sopraggiungevano 2 uomini, abitanti di Giampilieri, di cui uno di nome Antonio Rodilosso e l’ altro di nome Placido Scionti.
Lo Scionti, stante il buio pesto, scambiava il bambino per uno dei suoi 2 nipoti e lo portava via con se a casa con l’ aiuto del sig. Rodilosso .
In seguito, mi è stato riferito, che mentre provvedevano a curargli le ferite alla testa del bambino, la moglie di Placido Scionti si è subito resa conto che non era il loro nipote, ma che era “Brian”, il figlio di Daniela Panarello e quindi hanno provveduto immediatamente a portarlo ai Carabinieri presso l’ Unità di Crisi del paese che lo hanno consegnato alla legittima madre.
Il sottoscritto, assicurandosi di aver portato in salvo il bambino ritornava indietro e riscendeva nella voragine creata dalla montagna in via Puntale e questa volta con maggiore senso di orientamento mi arrampicavo nella montagna di fango che portava nel vico dove c’era la casa di mia madre.
Ivi giunto, constatavo che la casa era ancora lì, e che non era stata investita in pieno dal torrente, bussando forte più volte alla porta, non ebbi alcuna risposta.
Non avendo la chiave di entrata, con il senso di orientamento decisi di scavalcare la casa dal tetto e buttarmi sul balcone interno, anche lì ho bussato alle porte, ma non avendo nessuna risposta ho provveduto con 2 spallate ad aprire la vetrata del salotto dove sono entrato e ho iniziato a chiamare più volte “mamma, mamma”, non avendo di nuovo risposta, cercando di orientarmi al buio più completo sono andato a tastare con le mani il divano e dopo il letto nella camera da letto, ma non l’ ho trovata.
Quasi subito mi sono ricordato che mia madre, teneva sul comò 2 torce che ho preso.
Dopo aver ispezionato il magazzino della casa portandomi fuori dall’immobile ho chiamato a voce alta la signora Flavia Restuccia (vicina di casa di mia madre) e le ho chiesto se avesse visto mia madre o se sapesse dove fosse, ma questa mi rispose “non lo so, non l’ho vista”. Anche a lei dissi di spegnere la luce e chiudere il gas.
Ripresi ad ispezionare la casa e costatando che mia madre non c’era, ho aperto la porta della cucina, ho iniziato a chiamare a voce alta un vicino di casa di nome Gaetano Magaudda, ma subito non ebbi risposta, ho deciso di strillare più forte per 3-4 volte, lo stesso mi ha risposto da un’ altra casa lontana, dove si era messo in salvo insieme ad altre famiglie e gli chiesi dapprima se erano tutti salvi ed in seguito, se avesse visto mia madre o se sapesse dove fosse andata, strillando mi rispose che loro erano in salvo e di non aver visto mia madre ne tantomeno sapesse dove fosse andata.
A quel punto ho chiuso la porta e sono ritornato dove mi aspettavano mia figlia e mio genero.
Valutando la situazione e riflettendo dove mia madre potesse essere andata, presi la decisione di aprire con un grosso masso la porta di entrata di casa della Signora Calogero Santa, dopo essere entrato ed ispezionato tutti i locali rimasti parzialmente sani della stessa abitazione, non ho trovato all’interno né la proprietaria ne mia madre.
Ritornato in strada, chiesi a mio genero il suo cellulare, (poiché i miei cellulari erano rimasti distrutti dal fango) feci una telefonata alla Sala Operativa del Comando di appartenenza e precisamente all’utenza 117 dove gli comunicavo, visto il pericolo, di far chiudere immediatamente il gas, perché sarebbe saltato il paese in aria.
La stessa Sala Operativa contemporaneamente mi metteva in comunicazione con l’Unità di crisi della Prefettura alla quale preoccupatissimo gli dicevo del disastro che era accaduto in Giampilieri Sup. Inoltre li informavo contemporaneamente che, non erano sufficienti i soccorsi che c’erano nella provincia di Messina, ma ci volevano i soccorsi di tutta la Sicilia e ho chiuso la comunicazione.
Immediatamente dopo, io, mia figlia e mio genero, ci siamo recati nella parte bassa del paese dove abbiamo incontrato il figlio della signora dove presumevo si trovasse mia madre, di nome Giuseppe De Luca(omonimo -non parente) e con modi adeguati lo abbiamo informato di quello che era accaduto in via Puntale.
Risaliti nuovamente nella via Puntale mi sono ributtato nel cratere creato dallo smottamento della montagna e avvicinandomi all’abitazione della signora Calogero dove presumevo si trovasse mia madre, attraversai un passaggio molto stretto a causa dei calcinacci crollati dalla stessa casa, e riuscivo a raggiungere il piano terra della stanza adibita a cucina, la quale era piena di melma fino ad un metro dal tetto. Allungandomi e tirandomi con la braccia sopra il fango della cucina feci un ulteriore disperato tentativo e urlai ripetutamente le parole “mamma! Mamma! c’è nessuno !” ma non ebbi alcuna risposta. Dopo, con la torcia che mi ero procurato, ho illuminato tutta la cucina piena di melma per vedere se ci fossero dei corpi, ma non ho visto nessuno. Alla mia presenza i corpi di mia madre, della signora Calogero e della piccola Ilaria sono stati ritrovati dalle ore 00:30-01:30 del giorno 08/10/2009 sotto la melma in cucina dell’abitazione della sig.ra Calogero, ad un metro dove io mi ero allungato nei giorni precedenti.
Ritornato nel luogo dove mi aspettavano mia figlia e mio genero, alle ore 02,30 circa arrivavano i primi soccorritori composto da un gruppo di vigili del fuoco.
Io, seguito da mio genero (e non da tale sig. Scarcella Eliseo, come erroneamente è stato rapportato dai vigili del fuoco) essendo a conoscenza dello stato dei luoghi provvedevo ad indicargli la strada facendo scendere loro dietro di me nelle macerie di via Puntale, e nonostante l’enorme preoccupazione per il pericolo cui si andava incontro, dopo avergli indicato l’esistenza di un tubo del gas rotto e delle continue fuoriuscite di metano, li ho condotti all’altezza delle 2 abitazioni dove c’erano i feriti, e più precisamente gli indicai l’abitazione all’interno della quale si trovava la donna incastrata sotto le macerie.
Subito dopo proseguii a scendere con mio genero, giungendo nel Porticato di via Vallone, per la seconda volta, dove ho visto affacciato al secondo piano di un balcone il signor ”Mangano” al quale chiedevo se da quel piccolo vico di un metro, si poteva raggiungere via Lena.
Quest’ ultimo mi ha risposto di si, dandomi istruzioni di come fare.
Aprendo una casa in costruzione in quel vico, ho provveduto a prendere tutte le tavole che c’erano dentro per gettarle nei punti in cui si affondava.
dopo ho raggiunto l’impraticabile via Lena e nel retro della stessa via, nel giardinetto di una abitazione, ho visto un altro corpo senza vita di una persona che non sono riuscito a riconoscere. Poco dopo, dal secondo piano di una abitazione, si è affacciata una signora( di nome Manuela, moglie di Giovanni De luca) e le chiesi di gettarmi un lenzuolo al fine di coprire il corpo.
Successivamente mi hanno riferito che si trattava del Sig. Letterio Maugeri.
Sempre in via Lena, con molta fatica, affondando nella melma, sono riuscito a raggiungere l’abitazione dei miei suoceri, dove mi sono assicurato che fossero tutti salvi.
Così feci anche con un vicino di casa dei miei suoceri, tale Giovanni De Luca(soprannominato sceriffo), al quale ho chiesto se nella loro famiglia fossero tutti salvi.
Giunto a pochi metri da casa di mio suocero, entrai in un’altra abitazione in ristrutturazione e presi tutte le tavole e materiale vario al fine di allungarle sul fango per potervi camminare.
Tale operazione mi permise di percorrere per intero la Via Lena.
Nella mattina seguente del 2 Ottobre 2009, quando i soccorsi arrivavano in massa, davo indicazione loro, dov’erano ubicate le case di via Puntale ed eventuali corpi e feriti che ci potessero essere nelle stesse.
Vista la necessità sono andato a casa di mia madre ed ho preso una scala, una cesoia, una pala, una zappa ed una grossa mazza di ferro che ho messo a disposizione dei soccorritori.
Abbiamo scavato con le mani e con i pochi mezzi, in luoghi dove presumibilmente c’erano le persone.
Nella via Vallone, accanto l’ inizio di via Puntale, ho scavato insieme ad un vigile del fuoco rinvenendo ed estraendo mezzo corpo di sesso femminile (parte inferiore), ancora non identificata.
Nei giorni successivi, ho collaborato sempre con tutti i soccorritori, finché non sono stati estratti dalle macerie tutti i morti della via Puntale.
Alla sera di giorno 2 Ottobre 2009 mi sono recato presso l’infermeria dell’ Unità di crisi per farmi medicare le unghie sanguinati dei piedi perché molto dolorose e a disinfettarmi le mani perchè tutte graffiate.
Dal giorno successivo all’alluvione, mi sono visto attorniato anche dai miei Superiori della Guardia di Finanza di Palermo e Messina, Generale di Divisione Domenico Achille, Colonnello Decio Paparoni e del Maggiore Domenico Rotella con tutti gli uomini disponibili, standomi vicino e aiutando la popolazione alluvionata. Inoltre in quei giorni ho ricevuto tanta solidarietà da tutta Italia da parte di tanti colleghi del Corpo e da tanta gente comune.