Saccenza di ritorno, va’ via

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Sta per volgere al termine, sembra, una delle parentesi più indecrifrabili ai nostri occhi della politica italiana. Indecifrabile, sì: nonostante la copertura mediatica sia stata nettamente uno dei punti di forza dell’era Berlusconi, non possiamo tirare le somme; non ancora, almeno.

Bisogna avere davanti agli occhi un quadro generale per capire bene gli effetti del berlusconismo in Italia, fare un passo indietro e guardare il complesso; non solo indignados (con annessi brignanos, gli indignados da tastiera) e ragazzi a cinque stelle che si avvicinano alla politica col sogno di un era post-ideologie: la situazione è ben più strutturata di come possa sembrare a un primo sguardo. E in questi giorni, preparatevi, tutti ve la spiegheranno. Non ci sarà un solo opinionista dei salotti della tv a farsi scappare quest’occasione: la politica berlusconiana esce (almeno sulla carta) nel modo più mediatico possibile. C’è un annuncio, si sa una data, tutti sanno che succederà ma c’è l’atmosfera ideale, c’è il tempo giusto per fare congetture, ipotesi, buttare idee anche strampalate perché in Italia siamo tutti commissari tecnici e -da circa vent’anni- esperti di politica a trecentosessanta gradi. Ci sono, quindi, i tempi televisi per mettere su un teatrino indescrivibile. E questa non è che la fase uno, la più evidente.

La seconda fase, invece, è enormemente più delicata, perché più subdola; non comporta nessuna visione di Porta a Porta, non dovete neanche girare su Matrix durante la pubblicità. No, la seconda fase è quella che ci sarà dal panettiere sotto casa, o quando andrete a comprare le sigarette, o al supermercato, o sui social network. Tutti avranno la loro idea, e tutti vi diranno cos’è giusto. Niente di eccezionale, si intenda; del resto lo cantava anche De André in Bocca di rosa, che la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel Tempio. E anche allora non era una novità.

Quel che è peggio è che oggi il tutto sembra sdoganato; nessuna presunta perdita di valori delle nuove generazioni, la colpa è principalmente di chi queste generazioni doveva crescerle e invece le ha date in pasto a Sandra e Raimondo, forse non i migliori babysitter del mondo (come conferma anche Karl Popper, approfonditamente, nel suo Cattiva Maestra Televisione). Anche qui, doverosa quanto necessaria premessa: gli italiani sono storicamente un popolo pigro, che si interessa poco, e gli ultimi trent’anni sono lo specchio fedele. Sollevazioni popolari? Poche già per un Paese in cui le cose vanno discretamente bene, figurarsi nel nostro. Il lancio di monetine di quasi vent’anni fa è uno dei momenti che si dovrebbe rivendicare con più orgoglio perché ha dimostrato come un popolo ha il potere sui propri governanti; se lo stesso episodio accadesse oggi arriverebbero accuse incrociate: per i pidiellini quei cittadini sarebbero terroristi e manettari, per la pseudo sinistra del belpaese non sarebbe questo il modo per dimostrare di aver ragione. Il centro, ovviamente, non si schiererebbe.

Ora, digressioni a parte: è evidente il malfunzionamento della politica italiana degli ultimi decenni, e il disagio è aumentato in maniera esponenziale quando una delle armi principali per regolare il gioco è, come ama dire, “scesa in campo”. L’ingresso di Silvio Berlusconi nella scena politica italiana ha causato un corto circuito mica da ridere, cui non si è potuto (o voluto) mettere un freno finché possibile. Il conflitto di interessi, evidente e ormai neanche più spacciato come inesistente (probabilmente per dignità personale dei vari portavoce), ha cambiato le carte in tavola come poco altro avrebbe potuto. L’informazione, dapprima generalmente alla ricerca di una notizia per sviscernarne la verità, fa il percorso inverso: parte da una conclusione, per poter mostrare a prescindere da colpe o ragioni di sorta il suo profilo migliore, quello del “eh, ma gli altri sono peggio di noi“. Insomma, spiazzare lo spettatore per non dimostrarsi mai impreparato.

E il lavoro ha funzionato bene, finché non sono entrati in gioco altri meccanismi ben più complessi di un tubo catodico o dei LED: la rete ha sbugiardato più volte ciò che la tv non poteva (o voleva) autodenunciare. Notizie scomparse, messe come per vergogna sotto il tappeto, come quando arrivano i parenti improvvisamente a casa tua e sei costretto a nascondere la polvere evidente dove nessuno può vederla. E nessuno la vede, finché non arriva qualcuno a dire dove sta. Lì diventa evidente, e il vaso di Pandora si può aprire per mostrare i suoi segreti più impensabili.

È questo il cortocircuito principale, il più evidente. Ma non siamo ancora arrivati al punto più importante, il terzo, strettamente legato e coordinato al secondo: quello dell’appiattimento culturale.

Il punto in cui i quindici minuti di gloria di warholiana memoria diventano un obiettivo primario, perché i palinsesti si riempiono di pupazzi senza senso che gracchiano inutilmente, ciarlando a vuoto di argomenti talvolta più grandi di loro, con una pochezza disarmante e un’evidente assenza di preparazione di base. E il “bello” è che i campi sono innumerevoli: c’è il comico che dà fantalezioni di rivolta, la starlette che passa dal programma calcistico alla critica musicale, l’esperto di gossip che ospita ragazze coinvolte (come parte lesa) in processi di prostituzione facendo fare bella figura al proprio datore di lavoro e chi più ne ha più ne metta.

Sia ben chiaro: nessuno può dirsi totalmente estraneo al meccanismo che tento di spiegare in queste righe. Chi ha vissuto vent’anni di berlusconismo (non di Berlusconi: di berlusconismo) non ha avuto praticamente scelta.

C’è stata la campagna elettorale in cui la ragazza prodigio che non sapeva cantare né ballare diceva a milioni di ragazzine che Silvio è il bene e i comunisti sono il diavolo, il male; la colonna portante della televisione italiana, legata da una stretta amicizia con Berlusconi, che dice alle massaie di votare il caro amico mentre conduce il suo storico gioco a premi. C’è Raimondo Vianello addirittura, che lo consiglia. È la prima metà degli anni ’90 e tutto comincia, più o meno, da qua.

Il processo è inarrestabile. Trasmissioni spensierate come Non è la RAI diventano un must, cominciando a non essere più l’eccezione ma la regola. L’evoluzione è lenta ma inesorabile, e negli ultimi dieci anni diventa sempre più profonda e radicata. Uomini e donne, Grande Fratello, C’è posta per te, L’isola dei famosi diventano le fondamenta del Paese, conquistano il cuore di una grandissima percentuale di italiani, i quali li premiano fidelizzandosi davanti alla tv con ottimi risultati di share. Il risultato è un popolo che, perdonate la banalità, pensa più a Costantino e Alessandra nei loro quindici minuti di splendore che a D’Alema, a Fini e alle leggi da approvare. Questi programmi, uniti alla crescente disinformazione dei telegiornali, sono alla base di una delle dieci teorie della strategia della manipolazione attraverso i mass media, come insegna Noam Chomsky. “Un diluvio di distrazioni continue e di informazioni insignificanti” utile a disintegrare la coscienza critica, spostando l’attenzione dello spettatore verso altro, mentre attraverso l’esperimento della rana bollita il cittadino incassa senza colpo ferire anche i colpi più duri.

L’appiattimento culturale causato da questi trent’anni scellerati ha messo in moto un meccanismo assai pericoloso, quello che potremmo chiamare saccenza di ritorno: chiunque possegga qualche nozione basilare su politica o storia si sentirà in diritto, da qui a qualche mese -se non addirittura qualche anno-, di fare la morale a chicchessia, di dire cosa è giusto e cosa è sbagliato, sperando in un “analfabetismo” di ritorno dell’interlocutore, almeno per quanto riguarda il piano politico. E succederà, come detto, non solo in tv. Tornare alla normalità, a discutere di politica tra politici e non tra imprenditori che badano al proprio tornaconto, sarebbe già un passo avanti.

Diceva Petronio nell’incipit del Satyricon che “anche un procedimento legale è merce da mettere a mercato, e anche il cavaliere che siede in giudizio non sdegna di farsi comperare“. Questo è il quadro odierno della politica italiana, e non bisogna farsi comperare; piuttosto dobbiamo tutti rieducarci a un dibattito politico che vada oltre i soliti cliché. Altrimenti avremo perso altri vent’anni della nostra storia senza capire i veri problemi del nostro Paese.

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