Senza via d’uscita

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La morte di 4 persone ha causato la distruzione di 5 vite. Lorenzo, Francesco, Maria Letizia e suo padre travolti dall’alluvione del primo Ottobre 2009 hanno lasciato un vuoto incolmabile nell’animo del padre, marito e genero Antonino Lonia.

Nessuna lacrima sul viso, un cuore pieno d’amore che continua a diventare più forte ogni istante che passa. Non c’è momento in cui non pensa a loro, non c’è momento in cui non gli mancano: “la mia vita è finita l’uno ottobre 2009, insieme alla loro. Il resto è sopravvivenza”.

Nino cosa occorrerebbe affinché ritrovassi la tua serenità? “La mia serenità sono loro, e senza loro non posso riaverla”.

25 Ottobre 2007, un’alluvione devastante invade il paese di Giampilieri, il fango arriva ovunque, ma per fortuna nessuno ne resta vittima. “La quantità di acqua che ha invaso il paese è stata esattamente uguale a quella del primo Ottobre 2009, l’unica differenza è stata che il fango ha proseguito la sua corsa fino a valle, incanalandosi e non incontrando nessuno lungo il suo percorso”. All’epoca le abitazioni sono state definite solide, è stato detto agli abitanti di Giampilieri che erano al sicuro: “le zone maggiormente colpite sono state quelle subito sopra la Chiesa, Via Puntale non è stata colpita in modo rilevante”, questo ha dato la possibilità all’amministrazione locale di stare tranquilla. Via Puntale è un posto sicuro in cui vivere. Nessun piano di allerta, nessuna forma di sicurezza, nonostante le diverse richieste da parte degli abitanti del luogo niente è stato fatto per rendere le zone colpite dall’alluvione sicure.

Le 37 vittime del primo Ottobre però dimostrano esattamente il contrario.
La zona non è sicura, così come non lo è l’intera provincia di Messina, ma quali sono state le soluzioni trovate per garantire alle persone una protezione da una possibile futura alluvione? “Riparatevi sotto il tavolo, questo ci hanno detto” racconta Nino Lonia “come se un tavolo potesse ripararci dal fango. Non capiscono che non siamo stati colpiti da un terremoto, siamo stati colpiti da un’alluvione, e un tavolo non può bastare per evitare che ci siano altri morti”.

Un viaggio di lavoro come tanti altri, diretti a Verona, Antonino e il suo titolare percorrevano l’autostrada quando il telefono inizia a squillare: “sembrava che dovesse dirmi tutto quel giorno, tutte le cose importanti di cui dovevamo discutere” racconta Nino “Aveva paura, sosteneva che non fosse come le altre volte, che la situazione fosse molto più grave”. Maria Letizia non si sbagliava. La sua casa, posta esattamente sotto la montagna franata, è stata la prima ad essere travolta dal fango. Nessuna speranza né per lei né per i due piccoli. Il corpo della madre è stato trovato giorno 3 ottobre, i due bambini sono rimasti incastrati nel fango per 12 giorni.
Fango nel quale è rimasta incastrata anche una macchina fotografica, macchina fotografica ritrovata dentro la sua custodia ancora perfettamente funzionante. Conservava le ultime foto fatte da Maria Letizia, Francesco e Lorenzo, quasi a voler lasciare a Nino un ultimo loro ricordo, un ultimo saluto negatogli dalla furia del fango.

Razionalità e passione si confondono, in determinati momenti l’una prevale sull’altra creando un intreccio di sentimenti incontrollabili, la speranza di vederli ancora vivi e la consapevolezza che fosse quasi impossibile.
Il pensiero era rivolto a loro costantemente, Lorenzo e Francesco, 2 e 6 anni, a loro e a un completino dell’Inter. Completino al quale Francesco era particolarmente legato, comprato solo per qualche centesimo al mercatino, ma che per lui rappresentava l’amore per la squadra del cuore. 
E Nino così era sempre lì, tra il fango e le macerie, in cerca dei figli e di un pezzo di stoffa che sperava potesse dare conforto a Francesco, nella speranza di trovarlo ancora in vita. Accanto a lui, a muoversi tra i corpi senza vita, un maresciallo, Giuseppe Curcio, un maresciallo che ha ascoltato le preghiere e le speranze di Nino, e che ad esse non è riuscito a restare indifferente.
Una chiamata al Comandante della Compagnia di Messina-sud, Alessandro Di Stefano, seguita da un’altra al capitano della Compagnia Cantù di Como, Giuseppe Murano: poco tempo e l’idea del Maresciallo Giuseppe Curcio stava diventando concreta. Una maglia con il numero 10, una maglia autografata dai giocatori dell’Inter, Toldo, Orlandoni, Da Silva, Chivu, Stankovic, Mancini, Eto’o, una maglia che porta il nome di Francesco, dedicata interamente a lui e al suo amore per il la squadra nerazzurra.

Al piccolo questa maglia non è mai stata consegnata, Francesco è stato ritrovato dopo 12 giorni insieme al fratello Lorenzo privo di vita. Cosa resta a Nino? “Mi restano tantissimi bei ricordi, solo bei ricordi. E due bici, conservate in un ripostiglio a Giampilieri, bici che non ho avuto ancora il coraggio di andare a prendere”.
Per Nino, Giampilieri superiore non esiste più: “Non tornerei mai a vivere in quel paese, finché nessuno si preoccuperà di mettere quella zona in sicurezza resterà pericolosa per tutti i suoi abitanti”.
Adesso vive a Santa Margherita, la presenza della moglie e dei due figli riesce sentirsi in ogni angolo della casa: foto, quadri, ogni cosa in quel piccolo scorcio di una nuova vita ricorda la sua famiglia. Una moto sulla quale ha fatto aerografare le immagini dei loro volti, moto che adesso rappresenta uno dei più forti legami con i suoi cari: “se la toccano è come se toccassero loro”. Un casco sul quale sono stati disegnati dei fulmini, fulmini metafora del dissidio interiore che ha vissuto e sta vivendo, manifestazione della tragedia che lo ha colpito. E la maglietta dell’Inter, incorniciata e appesa, indice di un varco attraverso il quale Nino e Francesco resteranno sempre in contatto, un sottile filo espressione dell’immenso amore che, nonostante la tragedia, li rende ancora una bellissima famiglia.

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