Speciale San Berillo. Parla il Comitato Cittadini Attivi

San Berillo, Catania, febbraio 1957. La città, soprannominata ‘Milano del sud’ per la sua vitalità commerciale e industriale, vive uno dei più intensi e aggressivi interventi di risanamento urbanistico della sua storia. Un quartiere storico, commerciale, fulcro delle attività della Catania di inizio Novecento, viene quasi totalmente raso al suolo per permettere più agevoli collegamenti tra la stazione e il resto della città. Il piano, inizialmente opera dell’architetto Brusa della Società Generale Immobiliare di Roma, e recepito dall’ ISTICA (Istituto immobiliare di Catania) vede attuazione nel febbraio del 1957, quando è sindaco Luigi La Ferlita e, ad oggi, non ha ancora visto un completamento. Un’iniziativa mai portata a termine, tristemente ricordata come lo ‘sventramento di San Berillo’. Un’area di circa 80.000 m2 ancora senza una precisa identità. 30000 persone costrette a lasciare le proprie case, abbandonate alla memoria storica come i ‘deportati di San Berillo’.

Quello che rimane è però ancora lì, vivo e poliedrico. Un ostinato desiderio di sopravvivere si unisce a un’amara rassegnazione. All’opinione pubblica il quartiere viene descritto come un luogo ai margini, abitato da persone ai margini e, come tale, da lasciare ai margini. Quella che viene presentata, è una realtà abitata da prostitute, immigrati e delinquenti. Ma San Berillo non è solo questo, è molto di più. E la sua forza, la sua potenza, deriva proprio da questo. Un’immaginaria linea off limits demarca il punto oltre il quale tutto cambia. La sensazione comune è che l’abbandono sia volontario, per portare poi la cittadinanza a credere nella necessità di una bonifica radicale.

Ma San Berillo non vuole arrendersi e, come lui, anche quei cittadini che credono nel risanamento storico, culturale, artistico e, soprattutto, SOCIALE di un’area che ha solo da regalare. Tra questi, Roberto Ferlito e Andrea D’Urso, attivi membri del Comitato Cittadini Attivi di San Berillo. Nato da un lavoro di mappatura delle comunità , il comitato ha voluto “squarciare un velo su San Berillo – come afferma D’Urso – , dalla storia al presente. Da qui un comitato che ha un ruolo riconosciuto dalla comunità, anche perché composto dagli stessi abitanti. Non è un soggetto esterno al quartiere”.

E’ parte del quartiere, dunque. Una realtà che comprende  l’iniziativa ‘Casa di quartiere’ e due circoli Arci, uniti per promuovere attività che puntino al recupero urbano e all’offerta di servizi alla comunità. Grazie a queste associazioni nate dal basso, il cittadino può contare su svariate attività, fra cui l’ insegnamento dell’italiano agli stranieri, uno sportello legale gratuito e uno sportello sociosanitario. “Cerchiamo di offrire ciò che manca, ciò in cui la città è deficitaria, ovvero servizi al cittadino. – afferma Andrea D’Urso –  Noi, senza volerci sostituire a nessuno, cerchiamo di offrire un servizio di tutela, ma anche di crescita per gli abitanti del quartiere”. Tramite il recupero di edifici e appartamenti in disuso o abbandonati, l’insieme delle associazioni gravitanti attorno al comitato, puntano su un recupero che non si limiti all’urbano, ma vada oltre. Come afferma Roberto Ferlito,  “se queste strutture si fossero riprese una decina di anni fa, non le troveremmo nello stato in cui versano oggi. Ci ritroviamo a combattere per evitare che accada quanto successo nel ’57. Noi cerchiamo di opporci alla politica dello sventramento delle strutture, ma soprattutto del tessuto sociale. Cerchiamo di promuovere no la deportazione, ma l’inclusione sociale. L’inclusione di tutte le realtà che vivono qui, dalla comunità senegalese, alle prostitute fino alle famiglie che abitano questi luoghi. Qualsiasi cosa accada da ora in poi nel quartiere, deve includere il tessuto sociale esistente”.

Il tutto senza attacchi né isolazionismi, ma promuovendo un dialogo con le istituzioni per garantire una compartecipazione totale di tutte le realtà catanesi. San Berillo non è un luogo a sé, non è una realtà da trattare diversamente. San Berillo è parte di Catania. E’ Catania. Ma quello che nelle speranze si costituisce come dialogo, sembra più assumere i connotati di un monologo, come ci raccontano D’Urso e Ferlito: “Il dialogo si è avviato da anni. Riteniamo che la parte istituzionale debba essere sensibilizzata e attivata perché componente importantissima. Il Comitato ha chiesto un incontro e l’apertura di un tavolo tecnico ma non c’è stata alcuna risposta né dal comune, né dalla prefettura, né dalla sovraintendenza cui abbiamo chiesto ufficialmente di essere ascoltati, nonostante un appello pubblico firmato da oltre 40 associazioni e condiviso dalla città. Sappiamo per vie traverse che stanno lavorando dentro gli uffici tecnici, ma è un metodo che noi un po’ critichiamo. Oggi se si deve rigenerare il quartiere si deve partire da una collaborazione in cui i cittadini siano al centro del procedimento”.

La rassegnazione si percepisce, e si unisce quasi a una triste rabbia di fronte all’abbandono di una ricchezza tanto unica. Il quartiere che ha dato i natali all’attrice e scrittrice Goliarda Sapienza, la cui memoria è tristemente limitata a una targa sul palazzo che l’ha vista nascere e crescere. Un palazzo, come tutti gli altri, abbandonato al tempo. “Oggi dichiarano di assorbire i nostri progetti – continua Ferlito – ma dietro le quinte continuano ad operare come si operò allora. La volontà è di far arrivare tutto al livello critico,  in questo modo acquistano in appoggio sociale. Viene presentato tutto come un voler ripulire il quartiere dalla prostituzione, dallo spaccio e dalla decadenza. Piuttosto che trovare i metodi per la rigenerazione, si preferisce abbandonare tutto in modo da poter poi ottenere l’appoggio per un eventuale sgombero e rasa al suolo”.

Il comitato fonda quindi il suo agire sulla partecipazione collettiva, collezionando successi nei termini di un forte riscontro da parte della cittadinanza durante le diverse iniziative promosse nel tempo. Il quartiere ad oggi vive di un fermento nuovo, grazie a svariate attività, dalla street art all’artigianato. Un artigianato che storicamente ha contribuito alla fortuna del quartiere, con botteghe e attività sulle quali si era costruita una fiorente economia. Un artigianato che si vuole far rivivere, ovviamente superando inspiegabili difficoltà. “Sul recupero dell’attività artigianale si è fatta molta retorica – continuano D’Urso e Ferlito –  Le amministrazioni passata e presente dicevano che il quartiere sarebbe rivissuto con gli artigiani, ma non hanno facilitato il processo di insediamento. Il comitato ha agito anche in questo, ma c’è il problema degli spazi. Ci sono molte botteghe vuote, ma i proprietari non sono propensi alla vendita o all’affitto, nonostante ci sia moltissima richiesta. Quelle poche attività che si sono insediate lo hanno fatto perché sapevano che si stava creando una rete sociale ben predisposta.” E questo perché il quartiere sta accennando a una ripresa, come conferma D’Urso: “di fatto i catanesi stanno cominciando a conoscere San Berillo, soprattutto i giovani. Il passaggio successivo è fare cose che ne preservino la bellezza e al contempo aiutino gli abitanti, li coinvolgano per trovare loro stessi e una loro dimensione dentro il quartiere. Si parla di un’apertura ai cittadini, un’apertura all’esterno.” Un’apertura che permetta a un vero e proprio ghetto di aprirsi e al tempo stesso unirsi al resto della collettività. Un percorso delicato, lungo, che coinvolge i cosiddetti invisibili. Prostitute, comunità di immigrati. Appellativi dietro ai quali vivono semplici abitanti di un quartiere abbandonato. Cittadini, prima che prostitute. Cittadini, prima che senegalesi. Desiderosi di aprirsi e al tempo stesso contrari all’essere osservati come dei fenomeni. “Si parla di un quartiere che è ghettizzato rispetto alla città, e che per dinamiche interne si auto ghettizza. – conferma D’Urso – Per chi ci vive, che siano prostitute, o senegalesi, aprirsi alla città è un processo difficile. Per loro essere sotto i riflettori è un fatto nuovo e può essere fastidioso. E l’obiettivo dell’associazione è proprio questo. Di creare delle relazioni. Il comitato è sempre stato attento a costruire contatti giorno per giorno e non con il singolo evento. Con la dovuta delicatezza. Vai a toccare qualcosa che volutamente è stato messo da parte.”

E la voglia è proprio quella di preservare ciò che è stato messo da parte, per difenderlo e al contempo permetterne la conoscenza. Preservare e conservare per consentire l’inclusione, nel rispetto delle differenze. ‘La diversità è ricchezza’ recitava una canzone della Consoli. Ed è questo lo spirito. Ed è questa la vera forza di San Berillo, come continua Andrea D’Urso: “E’ questa la sua vera forza. E’ un quartiere in cui è concentrato tutto il mondo. Le differenze sono la cosa che lo connota. Il quartiere è stato il quartiere che ha accolto. Ha accolto gli ultimi, gli esclusi. Hai a che fare con una varietà immensa.”

E come per ogni realtà, esiste l’altro lato della medaglia. “Il quartiere sta diventando una sorta di mito – ci racconta Ferlito -. L’essere al centro di molta attenzione lo rende una realtà appetibile. lo avevamo messo in conto. Ma ci sono altre realtà che operano in maniera opposta. Altre associazioni tentano il recupero del quartiere con un approccio diverso dal nostro. Organizzano giri turistici a pagamento chiamati ‘tour di Catania segreta’. Mostrano le prostitute come fossero un fenomeno, le zone più fatiscenti e in rovina. E il comune si trova più vicino a quel genere di rigenerazione. Promuove attività di street art, con la produzione di murales. Iniziativa interessante, se operata in zone metropolitane e in quartieri degradati, ma non sicuramente in una zona di altissimo valore artistico e architettonico. Realizzare murales su edifici del ‘700 e dell’ ‘800 è sicuramente uno scempio. O ancora la presenza di pub moderni inseriti in palazzi storici multicolore non rende giustizia al quartiere. Il presentarsi di attività che puntano al lucro più che al recupero era prevedibile. Ma il quartiere non è del comitato, è della città. Ognuno è libero di agire. Certo fa un po’ rabbia il vedere che l’amministrazione è più propensa a sostenere quel genere di iniziative, piuttosto che sostenere i processi e le politiche sociali da noi proposte”.

Dal canto suo, il comitato Cittadini Attivi San Berillo continua la sua opera di ripristino e integrazione sociale senza sentori di resa o di rallentamenti. Puntando sul recupero e sul cambiamento rispettoso della memoria storica, persegue l’obiettivo di far rivivere una realtà abbandonata, ma resa forte dalla voglia di esserci. Si respira un’aria surreale tra le vie di San Berillo, fatta di diversità, particolari invisibili e straordinariamente vivi. Un’aria che va difesa.

GS Trischitta

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