Da giorni ormai non si legge altro che di casi di suore lussuriose che, ignare di essere incinte si rivolgono a presidi ospedalieri che poi le dichiarano “gravide”.
Dovrebbe seguire come
nei migliori medical drama: “Ora del decesso 00:00”. Da quel momento,
infatti, la sentenza viene spiattellata ai giornali per farne notizia. Ed ecco i
titoloni:
“Suora
incinta prestava assistenza agli anziani” – “Le de suore incinte sono
africane”
“La
suora incinta torna al Paese di origine”
– “Suore incinte: tutti i casi degli ultimi anni”.
E’ il via libera a insinuazioni,
sospetti e accostamenti che ledono inevitabilmente l’immagine pubblica di
queste persone e di ciò che rappresentano. L’animale social si scatena inevitabilmente
in commenti talmente tristi e triti che speri solo che il web collassi prima di
doverne leggere un altro.
Nel processo mediatico non viene concessa nemmeno la presunzione di non colpevolezza. E per chi crede nella logica de “la madre è certa”, vi siete chiesti chi è il padre?
Si parla di pratica licenziosa (come nell’immaginario di un pubblico medio d’internauti che sui siti porno cerca “suora”) o di possibile violenza? E’ scandalo lussuria o scandalo abusi?
Ma soprattutto è davvero scandalo?
Mi sento allora di fornire
altri titoli che non hanno ottenuto lo stesso seguito, tutti datati 2019:
“Papa Francesco: «Abusi sessuali sulle suore problema grave, occorre combatterlo» – «Troppi silenzi sulle suore vittime di abusi» – “Le suore si mobilitano per denunciare gli abusi sessuali” – « Suore stuprate costrette al silenzio ».
Situazioni al limite
perché se non ci sono condizioni di non ritorno, come una gravidanza, la violenza
è messa a tacere proprio per paura delle conseguenze tra cui l’espulsione dall’Ordine
a tanto invocata per le due religiose a processo in questi giorni. L’aborto è chiaramente vietato, i figli della
violenza spesso dati in adozione. A proposito dei figli (siano frutto di
violenza o meno), come proteggerli dall’individuazione pubblica e relativa
“lettera scarlatta”?
L’unico
tentativo fatto finora è stato quello di dare un nome e un volto alle suore
coinvolte per ravvivare la fiamma dello scandalo. Il giornalismo che fa peggio
della chiacchiera da cortile offrendo indicazioni sull’ordine di appartenenza, sul
convento di riferimento, sul posto di lavoro.
Dovremmo dunque chiederci se i fatti, così riportati, siano di una qualsivoglia utilità sociale e se lo scandalismo sia il modo corretto di riportare un argomento tanto delicato.
Soprattutto prima di continuare a indagare chiedersi in che direzione e con quale scopo.
P.s Riportiamo una dichiarazione dell’Assessore regionale alla Sanità, Ruggero Razza: “Non entro nel merito di questa vicenda. Ma trovo ingiusto che sia diventata di dominio pubblico una notizia che sarebbe dovuta rimanere nel riserbo delle strutture sanitarie. Domani disporrò una indagine interna perché oltre i sensazionalismi esistono i diritti delle persone”.