La commissione Antimafia dell’Ars ha espresso all’unanimità parere favorevole al disegno di legge d’iniziativa governativa per i benefici in favore dei testimoni di giustizia. Il parere della commissione è accompagnato da alcune osservazioni, che saranno oggetto di esame nel corso del dibattito in aula. Il disegno di legge prevede l’estensione ai testimoni di giustizia dei benefici stabiliti dalla legge regionale 20 del 1999 in favore dei familiari delle vittime di mafia.
Per il presidente dell’Antimafia, Nello Musumeci, relatore per il parere in commissione, «è un atto che assume rilevante valore morale ed esalta il valore della denuncia da parte di soggetti che, autonomamente e senza far parte di organizzazioni criminali, sentono il dovere di ‘testimoniare’ contro la mafia e i suoi gregari. Assieme al presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone – ha aggiunto Musumeci – abbiamo già avuto un primo confronto a Roma col ministro per la Pubblica amministrazione Giampiero D’Alia, dal quale abbiamo raccolto interesse e attenzione verso questo tema. A giorni incontreremo per lo stesso motivo anche il ministro dell’Interno Angelino Alfano».
Nonostante il provvedimento sia stato motivato con grande impegno da parte del Governatore Crocetta che aveva detto come «bisogna sostenere quanti, esponendosi con il rischio della vita, si battono per l’affermazione dei principi di legalità e giustizia», il testo non sembra cogliere invece le intenzioni del Servizio di protezione testimoni. Recentemente, infatti, lo “status di testimone” sembra essere stato rimesso in discussione proprio nei confronti di chi ha rinunciato alla propria vita per mettersi a disposizione dello Stato.
È il caso di Piera Aiello, testimone di giustizia, fra i primi in Sicilia (oggi 45 anni ma ne aveva 22 di meno all’inizio del suo “esilio”) a decidere di schierarsi con la giustizia voltando le spalle ad una famiglia di mafia che aveva visto anche il suicidio della cognata Rita Atria. Piera Aiello ha lasciato la località segreta in cui ha vissuto in questi anni sotto falso nome dopo avere appreso di essere considerata dal Servizio di protezione una “ex testimone”.
La vicenda di Piera Aiello, arriva puntuale proprio alla vigilia di quel 19 luglio che segnò non solo la vita di Paolo Borsellino e gli agenti della scorta ma soprattutto la sua decisione di collaborare con lo Stato. Dopo i fatti della propria famiglia, era l’anno 1991, con una figlia di tre anni in braccio, si toglie di dosso il sangue decidendo di raccontare quel che sapeva prima ai carabinieri e poi a quel Paolo Borsellino la cui barbara uccisione fu alla base della sua scelta. L’eccidio di Via D’Amelio segna la vita di Piera convincendola che il salto dall’altro lato dello steccato dovesse consumarsi senza tentennamenti. Da allora un peregrinare di città in città. Fino ad oggi appunto.
Lo scorso 3 luglio, l’eurodeputata Rita Borsellino ha presentato un’interrogazione scritta alla Commissione Ue per definire in tempi brevi misure che uniformino a livello europeo lo status di testimone di giustizia motivandola proprio partendo dalla vicenda della Aiello. «La decisione di Piera Aiello di tornare in Sicilia e lasciare la località che le era stata assegnata per motivi di sicurezza è il segno evidente del fallimento delle istituzioni e delle norme attualmente in vigore sulla protezione dei testimoni di giustizia».
La Borsellino, dopo avere chiesto al Parlamento europeo di prestare particolare attenzione al ruolo dei testimoni di giustizia, ha presentato oggi un’interrogazione scritta alla Commissione europea per avviare in tempi brevi misure che uniformino a livello europeo lo status di testimone di giustizia: «Farò richiesta in Parlamento per introdurre nel parere che l’assemblea dovrà dare sul Programma di Stoccolma, che è il riferimento europeo su cooperazione giudiziaria e altre materie, un emendamento che disciplini lo status del testimone di giustizia a livello europeo».
Se l’Assemblea Regionale Siciliana sembra muoversi verso maggiori garanzie per i collaboratori dello Stato, stessa attenzione non sembra arrivare dal Servizio di protezione che decide, invece, di rimettere in discussione l’assistenza e le tutele di soggetti ancora esposti a ritorsioni anche se i processi in cui sono coinvolti si trovano in uno stato avanzato o con sentenza avvenuta.