Torre Faro: il borgo delle opportunità perse.

Un paese sul quale la speculazione politica non si è mai fermata ad ascoltare gli abitanti del villaggio per renderlo il Gioiello dello Stretto.

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Torre Faro è da molti anni al centro del dibattito politico per la promozione dell’attività balneare e turistica a Messina. Negli ultimi venticinque anni, il borgo marinaro ha visto trasformare la sua fisionomia attraverso la costruzione, l’abbandono di molte opere di interesse pubblico.

Dai cantieri seaflight al progetto abbandonato della metromare, dalla pavimentazione delle strade allo stato di incuria del Pilone, nel tempo il villaggio di Capo Peloro si è trasformato in una località di opportunità perse, ma non per volere dei suoi abitanti.

La Metromare:

Sono le 18:30 quando mi do appuntamento con due abitanti del Borgo: Giuliana Sanò, attivista locale, e Salvatore Arena, Capitano della marina mercantile. Il nostro tour inizia dalla biglietteria della metromare e dalla costruzione, mai iniziata, dell’approdo degli aliscafi.

Dinanzi alla chiesa del Villaggio giace una struttura in stato di abbandono, composta da due blocchi distinti e uniti da un’unica tettoia. Si tratta della biglietteria della metromare. Completata nel 2007 la struttura non è mai entrata in funzione poiché la stessa metromare, un progetto di trasporto rapido costiero tra Messina e Torre Faro, non è mai partita. L’idea si ispira al modello in servizio tra Rimini e Riccione, che ha consentito di alleggerire il trasporto gommato, diminuendo così l’inquinamento acustico e la richiesta di parcheggi. Oggigiorno la struttura è pericolante. La tettoia, sotto la quale si ritrovano molti anziani, è ricoperta di ruggine. I vetri dell’edificio, quelli che non sono stati distrutti, sono a rischio crollo. L’interno, invece, è accessibile a qualsiasi persona, come testimoniato dalla spazzatura.

“L’avvio della metromare prevedeva anche un molo di approdo che era previsto in prossimità della Piazza”. Così Salvatore Arena ci guida verso la Piazzetta dell’Angelo, da sempre punto di aggregazione per le generazioni del Faro. Ci mostra gli argini del canale degli inglesi: quello meridionale è stato lasciato allo stato storico-originale, invece quello settentrionale è stato ricostruito con tecniche moderne che oggi lo presentano come un intonaco rovinato dall’umidità del mare. La banchina dell’argine settentrionale è da sempre inagibile ed il suo accesso è bloccato da una recinzione provvisoria che nel tempo si è deteriorata.

Sebbene l’appello del Comitato Messina Nord sullo stato di abbandono della struttura, ancora oggi nessun ente o società ne ha rivendicato la proprietà. Inoltre, da una ricerca sui siti di monitoraggio civico (opencoesione, portale caronte) e sulle varie testate online non si riesce a conoscere la progettazione ufficiale della metromare.

Dalla piazzetta del villaggio costiero ci incamminiamo verso il Pilone e l’area ex-seaflight, edifici che si potrebbero ricollocare nella tipologia di archeologia industriale.

Il Pilone, Torri Morandi ed ex-seaflight:

Alto 225 metri, di colore bianco e rosso, il Pilone è dal 1956 simbolo del borgo marinaro. Costruito per condurre i cavi elettrici in acciaio tra le due sponde dello Stretto, il traliccio è stato dismesso nel 1992. Dopo la sua dismissione, il Pilone non ha più ricevuto alcuna manutenzione. Tra il 2006 e il 2009 il traliccio messinese è stato aperto per i temerari che, scalando circa duemila gradini, volevano ammirare il panorama sullo stretto. Oggi, il Pilone è abbandonato al suo destino. Dalla spiaggia della Punta si echeggiano i suoi metallici rumori. Difatti, da ben ventotto anni è nello stato di completa incuria e al centro del dibattito pubblico sul suo destino. A differenza di qualche anno fa, il traliccio è anche senza alcuna illuminazione notturna.

I cavi del sistema di tralicci venivano tesi dalla struttura delle Torri Morandi, due strutture gemelle di quattro piani, unite alla base da un grande deposito. Oggigiorno, l’area che circonda le Torri Morandi è adibita a parcheggio gratuito per giungere con facilità alle spiagge.

Avanzo una domanda provocatoria che ha il suono di eresia “Perché non abbattere il Pilone e le Torri Morandi?”.

“Abbattere e distruggere il preesistente non è mai la soluzione, vanno mantenute e riprese. In altre città le strutture industriali sono state riprese ed è stata consentita la fruizione a quante più persone possibili”. Così Giuliana Sanò lancia un appello verso il destino di queste strutture.

Non lontano dall’area del Pilone si erige un’altra struttura industriale dismessa, il padiglione dell’ex seaflight. Lo stabilimento costruiva aliscafi sino al 1980, anno del fallimento della Seaflight s.p.a.. Nel 2009 la Corte di Cassazione ha confermato il provvedimento di demolizione senza diritto di risarcimento o di acquisizione al patrimonio demaniale. Nell’autunno scorso, la struttura è stata la protagonista di un acceso dibattito tra vari consiglieri comunali e l’amministrazione comunale riguardo la demolizione dell’ex seaflight. Oggi, l’iter burocratico per l’abbattimento dello stabile e la rivalorizzazione dell’area è giunto alla Regione Siciliana.

Il Capitano Arena e Giuliana Sanò ricordano sia quando quella struttura era diventata il palco musicale di Messina nell’estate 1997 sotto l’amministrazione Provvidenti, sia della spiaggia limitrofa, nella quale si erigevano gli scivoli per il varo degli aliscafi, sostenuti da alcune piattaforme che sono interrate sotto la sabbia e il fondale marino limitrofo.

Ad un’altra domanda rispetto il futuro delle strutture, le due guide mi ricordano che la comunità farota non viene mai interpellata e i programmi sul futuro del paese vengono decisi dall’alto, mentre sarebbe necessario un ragionamento dal basso che coinvolga tutti gli abitanti del borgo affinché la rivalorizzazione e la promozione siano davvero funzionali alla vita quotidiana.

A questo punto lasciamo in macchina l’area del Pilone e ci dirigiamo verso la rotonda di Granatari e via Circuito, i due punti di accesso a Torre Faro, che rappresentano lo stato di incuria nella quale giace l’intero paese.

 Da Granatari al Circuito:

La strada che ci accompagna sino alla statale 113 è denominata “marina esterna”, a differenza della costa del borgo che affaccia sullo Stretto. Giuliana Sanò e Salvatore Arena denunciano subito il mare negato: l’accesso alle spiagge del Tirreno, difatti, è impedito da numerose recinzioni o strutture che costringono i bagnanti a recarsi nella spiaggia affollata della Punta. La distruzione dei blocchi architettonici che non consentono di giungere sul Tirreno favorirebbe la distribuzione dei bagnanti lungo tutta la costa, così da evitare anche gli assembramenti nei pochi metri quadrati della spiaggia della Punta.

Uscendo dalla marina esterna, si ci imbatte in un’altra struttura abbandonata: l’ex Istituto Postelegrafonici, meglio conosciuta come “Villa Faro”. Un tempo Villa Faro era una colonia estiva giovanile con campi sportivi, una piscina ed un diretto accesso alla spiaggia. Dal 2008 la struttura è abbandonata ed è di proprietà in parte dell’INPS, che l’ha data in gestione alla società IGEI s.p.a., e in parte del Fondo buonuscita di Poste Italiane. La struttura potrebbe essere ripresa come struttura sia turistica sia di aggregazione giovanile, come lo era una volta.

Proseguendo sul lungolago giungiamo alla Rotonda di Granatari, punto di accesso a Torre Faro, che affaccia sul Pantano Piccolo. Al centro dello slargo vi è collocata una fontana ottocentesca in pietra calcarea, che sino al 1908 era posta al centro dell’attuale Piazza del Popolo. Resistita al terremoto, negli anni ’30 la fontana è stata collocata nell’attuale posizione. La struttura calcarea è in stato di completo abbandono: vari pezzi, tra cui una piscinetta e la decorazione superiore, sono stati rubati, altri giacciono in depositi comunali.

Dalla rotonda di Granatari ci spostiamo al bivio di via Circuito, precisamente dinanzi all’ennesimo scheletro di cemento armato: il Faro Motel. Sino al 2010 la struttura era stata oggetto di interesse da parte di vari imprenditori. Successivamente, le intenzioni di ristrutturazione sono state abbandonate a causa della possibile edificazione del ponte sullo stretto.

Sono le 19:40, davanti a questo edificio si completa il tour del borgo dalla possibilità perse. Sorgono spontanee domande su come migliorare Torre Faro, su cosa necessità il paese e come renderlo davvero il Gioiello dello Stretto. “Bisogna partire da Granatari e Mortelle” così esordisce Salvatore Arena “perché quando c’erano l’hotel di Mortelle e i vari stabilimenti balneari, Torre Faro era un’altra cosa. Con il suo camping sembrava un’oasi”. Giuliana Sanò risponde riportando alcuni dei progetti del fratello Giuseppe, ex consigliere della VI Circoscrizione scomparso tragicamente nel maggio scorso. Giuseppe Sanò ha, infatti, dedicato la sua vita nel rendere Torre Faro un posto migliore. Vari progetti portano la sua firma: quello contro la pesca di frodo, la restaurazione della fontana di Granatari, la pedonalizzazione del borgo e molti altri ancora.

Entrambe le due guide concordano sulla necessità di un’isola pedale, che sia pensata sulle necessità degli abitanti, sulla diminuzione dei parcheggi a pagamento fronte mare, e sulla democratizzazione delle decisioni rispetto il villaggio poiché molti progetti presentati da politici si sono presentati o inutili o non funzionali.

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