Su 174 navi esaminate, solo 4 hanno adottato misure per la sostenibilità con riduzione delle emissioni. Onlus Cittadini per l’aria: a rischio la salute delle persone.
Dopo la classifica impietosa dello scorso giugno sull’inquinamento dei porti italiani a causa delle navi da crociera, che vedeva Messina tra i 50 porti più inquinati d’Europa, a rincarare la dose arriva il Ferry ranking 2019, indagine della onlus “Cittadini per l’aria”.
L’organizzazione, che si batte per il diritto di respirare aria pulita, ha interrogato tutte le compagnie che operano in Italia nel settore del trasporto marittimo passeggeri e Ro-pax (trasporto persone e veicoli) sulle azioni già intraprese e gli investimenti programmati per migliorare le prestazioni ambientali e il risultato non è certo incoraggiante.
“Soltanto 4 navi su 174 tra quelle prese in considerazione hanno già adottato dei sistemi per ridurre le emissioni inquinanti, mentre sono in costruzione solo altri 4 traghetti meno inquinanti. Poco più del 2% del totale della flotta circolante nei nostri mari ha messo in atto misure per proteggere l’ambiente e la salute delle persone”.

Fatta eccezione per la Grimaldi – spiega il report – che ha di recente varato due navi traghetto dotate di scrubbers ((grandi apparecchiature che lavano i fumi a Bordo) e batterie al litio che consentono lo stazionamento in porto per alcune ore a motori spenti, Corsica Linea che ha installato gli scrubbers sul traghetto Vizzavona e Caronte&Tourist, che grazie al progetto GAINN4MOS ha varato a novembre un traghetto bi-fuel/GNL che opera nello stretto di Messina, nessun altro armatore ha adottato sistemi di riduzione delle emissioni.
L’analisi realizzata nell’ambito della campagna “Facciamo respirare il Mediterraneo” che si svolge in coordinamento con la rete delle associazioni europee, evidenzia delle criticità importanti, prima fra tutte la “sconcertante conclusione che la grandissima maggioranza delle compagnie di navigazione non sta facendo nulla per rendere le proprie navi meno inquinanti”.
Per far comprendere l’importanza dell’indagine in questione, la onlus cita uno studio dell’ IIASA Research (Istituto internazionale per l’analisi dei sistemi applicati) che nel maggio 2019 ha evidenziato come l’attivazione di un’area ECA (Emissions control area) per imporre alle navi l’uso di carburanti con un tenore di zolfo dello 0,1% e l’adozione di sistemi di abbattimento degli ossidi di azoto nel Mediterraneo salverebbe, solo in Italia, almeno 600 vite all’anno.
“Oggi, i traghetti nel Mediterraneo sono tenuti a utilizzare un carburante che abbia un tenore di zolfo massimo pari all’1,5%. Ovvero, comunque 15 volte superiore a quello oggi consentito nel Mare del Nord, nel mar Baltico e nel Canale della Manica dopo l’entrata in vigore dell’Area SECA nel 2015 che, in quest’Area, ha imposto un limite dello 0,1%. E 1.500 volte superiore a quello consentito nei carburanti oggi usati sulla terra ferma.
Anche quando il nuovo limite per lo zolfo sarà entrato in vigore (2020), il limite alle emissioni di zolfo dalle navi sarà comunque 500 volte superiore a quello vigente sulla terra ferma per i veicoli su gomma. Solo per dare una misura dell’impatto di questo inquinante sull’uomo si ricorda che, in base alla letteratura scientifica, lo zolfo (per 200 ng/m3) contenuto nel PM2.5 (particolato) determina un incremento di rischio di mortalità per tutte le cause del 14% e un incremento di rischio del 92% di tumore allo stomaco“.

Una situazione che “Cittadini per l’aria” definisce paradossale puntando il dito anche contro un’elargizione di finanziamenti pubblici che non terrebbe conto dei criteri d’innovazione tra cui il rispetto per l’ambiente.
“Questa indagine mostra le conseguenze dell’aver esentato l’industria navale da ogni richiesta di tipo ambientale – spiega Anna Gerometta, presidente della onlus – Oggi assistiamo a una situazione paradossale: molte di queste imprese sono destinatarie di contributi pubblici, anche molto rilevanti, mentre rendono irrespirabile l’aria dei porti nei quali attraccano. Elettrificazione delle banchine o adozione di batterie per le navi ormeggiate, filtri anti-particolato, passaggio a sistemi di alimentazione ibrida o elettrica per i vascelli, affidamento di contratti di trasporto pubblico ad armatori con flotte “pulite” sono i punti fondamentali dai quali ripartire”.
Oltre 250 milioni di Euro di contributi per effettuare il servizio di trasporto pubblico con le isole, sono sufficienti secondo la onlus per giustificare “la pretesa che le loro prestazioni ambientali siano ottimali, o almeno in netto e rapido miglioramento. Ed invece così non è”.
Per quanto riguarda le emissioni in porto, inoltre, il report definisce il sistema attuale “inadeguato” per dissuadere chi viola le norme dal continuare a farlo.
“Nonostante le Capitanerie e/o le Autorità portuali di alcune città abbiamo adottato accordi con gli armatori allo scopo di ridurre le emissioni, la non obbligatorietà, disomogeneità ed intrinseca debolezza delle misure previste rende tali strumenti palesemente insufficienti ad affrontare il problema”.