Trapani batte un colpo

Siamo nel feudo del superlatitante Matteo Messina Denaro, dove i “postini” del pizzo consegnano puntuali le sempre più insistenti richieste di denaro ai danni di commercianti  ed imprenditori  in una delle province in cui l’omertà continua a fare scuola. E’ proprio dalle file di Confindustria Trapani che arriva la notizia: il leader Gregory Bongiorno ha deciso di stravolgere la calma apparente della propria organizzazione denunciando i propri estorsori ma non tutti vedono nell’operazione un gesto spontaneo, quasi a vedere nella denuncia un gesto di ‘disperazione’.

Dal padre, e poi dalla madre, aveva ereditato l’azienda, la Agesp spa. Ma assieme alla società, operativa nel campo dei rifiuti, Gregory Bongiorno s’era portato dietro anche un pesante fardello: il racket delle estorsioni. L’imprenditore, 38 anni, sposato con due figli, per anni presidente dei giovani imprenditori e da pochi mesi ai vertici di Confindustria, ha continuato a pagare il pizzo alla famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani, regno del latitante Matteo Messina Denaro. Difficile uscirne, anche perché il padre, Vincenzo Bongiorno, pur non essendo mai stato indagato, era considerato vicino a Cosa nostra e proprio in questo contesto sarebbe maturato il suo assassinio, nel 1989. Eredita pesante, forse troppo e la denuncia arriva anche per fugare ogni sospetto di reiterazione del quadro paterno.

L’imprenditore ha avuto il coraggio di gettarsi alle spalle il suo passato però e di denunciare. Nel giro di quindici giorni, la squadra Mobile di Trapani ha chiuso l’indagine. L’operazione ha permesso, così, di sgominare il “mandamento mafioso” del boss Mariano Asaro, detto il dentista, uno dei cosiddetti “colonnelli” del capomafia e tra i latitanti più ricercati al mondo  Matteo Messina Denaro.

Il percorso di Gregory Bongiorno dentro la Confindustria della svolta antiracket di Ivan Lo Bello e Antonello Montante, probabilmente, gli ha dato la forza di ribellarsi. “Ho pagato per anni. Adesso ho deciso di non piegarmi più” ha affermato Bongiorno agli inquirenti. Una scelta liberatoria che è maturata nel tempo.

Tre le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip su richiesta della Procura distrettuale antimafia di Palermo riguardano: Mariano Asaro, 57 anni, ritenuto dagli inquirenti come un esponente di spicco di ‘Cosa Nostra’ del Trapanese; Gaspare Mulè, 46 anni e Fausto Pennolino di 51, entrambi sorvegliati speciali. Sono accusati di estorsione e tentata estorsione aggravate dalla modalità mafiosa.

Chi è Gregory Bongiorno? Dopo aver preso in mano l’azienda in seguito alla morte della madre, l’imprenditore, nel 2005, avrebbe consegnato 10 mila euro a Mulè, che si era presentato quale rappresentante dei boss. Le pressioni estorsive sarebbero andate avanti fino ad aprile del 2007. Poi un lungo periodo di pausa, poiché i suoi estorsori vengono arrestati e condannati per il loro organico inserimento nell’associazione mafiosa. Cinque mesi dopo avviene la svolta in Confindustria, con l’adozione del nuovo codice etico: fuori dall’associazione gli imprenditori che non denunciano. Bongiorno porta avanti l’attività fino a quando la mafia, nei mesi scorsi, ribussa ai cancelli della sua azienda. Pretende il pagamento degli arretrati: 60 mila euro, maturati, secondo la cosca, dal 2007 a oggi. Bongiorno, da un anno alla guida degli industriali trapanesi, allora denuncia.

”E’ la prima volta, nel trapanese, che un imprenditore, vittima del racket, spontaneamente, formalizza una denuncia contro gli estorsori”, dice il capo della Squadra mobile di Trapani, Giovanni Leuci. Per il leader di Confindustria Sicilia, Antonello Montante ”quello di Gregory Bongiorno, sul quale non ho mai avuto dubbi, non è un gesto eroico, ma un atto di estremo coraggio: era cosciente che sarebbe cambiata la sua vita perché a Trapani chi denuncia rischia di essere ammazzato”. Poi fa un affondo ‘politico’. ”Si parla troppo di professionisti dell’antimafia: è una definizione che sta girando come qualche tempo fa”, osserva Montante. Che avverte: ”Una cosa è il concetto che esprimeva Sciascia, un’altra è affibbiare questo termine a chi rischia la vita, il vero obiettivo di chi spesso usa questo linguaggio è delegittimare e disincentivare le denunce”. ”Se fossi un magistrato aprirei un fascicolo per capirne di più – aggiunge Montante – Ci sono segnali chiari che la mafia, quella dei colletti bianchi, sta rialzando la testa”. Un grosso aiuto per gli imprenditori, rimarca Lo Bello, ”e’ il codice etico di Confindustria, funziona”. ”Oggi – sostiene il vicepresidente di Confindustria – gli imprenditori denunciano perché sanno di non essere più da soli”.

Dagli ambienti giornalisti trapanesi però emerge come  nell’operazione di Bongiorno non ci sia un gesto di libertà e di riscatto ma il tentativo degli industriali di liberarsi dal vicolo cieco in cui sembravano essersi collocati. Gianfranco Criscenti, un collega trapanese che conosce molto bene fatti, personaggi e cose della sua provincia, a proposito del ‘caso’ Bongiorno ha dichiarato nelle ore successive agli arresti di Castellammare:“Leggo – senza sorpresa, ormai – le entusiaste reazioni che hanno seguito la scelta del presidente di Confindustria Trapani, Gregory Bongiorno, di denunciare gli estorsori. Chi si entusiasma dovrebbe conoscere la storia dell’Agesp, l’omicidio del padre e le mancate denunce fatte dall’imprenditore tra il 2005 e il 2007 quando versava diecimila euro all’anno ai ‘’picciotti’! Gesto importante, ma fin troppo tardivo. Enfatizzarlo equivale a far passare un messaggio inquietante: puoi sbagliare una vita; per cancellare tutti i peccati basta fare una buona azione”!

Accuse che possono anche raccoglie altre perplessità, soprattutto quando nelle dichiarazioni dello stesso Ivan Lo Bello, che vuole incoraggiare in questo modo le denunce, si legge una critica indiretta alle Istituzioni e forze dell’ordine nelle affermazioni “oggi sappiamo di non essere soli”.

Non va dimenticato, infatti, che Confindustria Sicilia ha introdotto solo di recente un codice etico in cui veniva decisa l’incompatibilità tra l’essere associati alla confederazione e avere rapporti con la criminalità organizzata. Una conquista dal valore simbolico; una tappa a cui ci si arriva solo dopo che alcuni imprenditori hanno iniziato a cedere soprattutto davanti alle indagini degli inquirenti e un po’ meno ai richiami della coscienza. Denunce ottenute, quindi, grazie al buon lavoro delle procure. Cionondimeno non va sottaciuto come tra gli imprenditori sia cresciuta la consapevolezza della necessità ineludibile della lotta alla mafia.

Resta il fatto che non bisogna abbassare la guardia e la rottura di qualsiasi cappa omertosa è da considerarsi sempre una ‘buona notizia’. Non lo fu per Libero Grassi che Confindustria Palermo lasciò solo decidendone la sorte e che la cronaca di quei giorni descrisse in maniera dettagliata. La notizia è soprattutto questa: nella provincia in cui le indagini ci dicono che il pizzo si paga a tappeto e il numero delle denunce è davvero esiguo, il potere del “grande capo” si sta dissipando insieme al suo inquietante ascendente. “Il pagamento del pizzo è tornato ad essere una forma di garanzia per l’ imprenditore, che dunque paga non solo per paura, ma anche per convenienza”. Non usa mezzi termini Teresa Principato, il procuratore aggiunto di Palermo che indaga sull’ ultimo grande padrino di Cosa nostra latitante, Matteo Messina Denaro. Dice: “Il pizzo è ancora oggi per l’ imprenditore la garanzia di non subire furti, danneggiamenti o anche altri problemi nell’ attività di ogni giorno dei cantieri. Una garanzia che diventa quasi una forma di complicità, di collusione”. Nell’ultimo anno sono 110 le attività economiche nuove che hanno aderito all’elenco delle imprese ‘pizzo-free’, alcune delle quali accompagnate alla denuncia da Libero Futuro e Addiopizzo.  Nell’elenco di negozi che dichiarano di non pagare il pizzo ci sono 828 adesioni e diecimila consumatori che hanno deciso di sostenerli.

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