È stata trasferita al centro clinico del carcere di Messina, ma è ancora a rischio paralisi in quanto i suoi arti superiori e inferiori sono quasi completamente atrofizzati. Parliamo di Rosa Zagari, condannata in primo grado a otto anni al processo denominato “Terramara Closed”, compagna dell’ex latitante ernesto fazzalari di Taurianova – catturato nel 2016 – a considerato il ricercato più pericoloso dopo l’imprendibile matteo messina denaro.
A denunciare il perdurare dell’immobilismo da parte dell’amministrazione penitenziaria per garantirle le adeguate cure è l’associazione Yairaiha Onlus che si occupa dei diritti dei detenuti.
Più di un mese fa grazie al sollecito dell’associazione e all’articolo pubblicato da Il Dubbio, Rosa Zagari è stata trasferita dal carcere di Santa Maria Capua Vetere dove non veniva curata, per garantirle appunto le terapie prescritte dai medici.
Ma cosa le era accaduto? Il nove febbraio scorso, quando era al carcere di Reggio Calabria, è caduta nella doccia.
Subito è stata trasportata all’ospedale, nel reparto di
neurologia, e dalla tac è emersa una “duplice rima di frattura lineare in
corrispondenza del processo trasverso di destra di L3 e rima di frattura a
livello del processo trasverso di L2”.
Il primario ha consigliato delle cure adeguate per evitare peggioramenti. “Riposare su letto rigido idoneo – si legge nella cartella clinica – praticare terapia medica con antalgici al bisogno e proseguire con la terapia antitrombotica come da prescrizione neurochirurgica.
Si consiglia inoltre di iniziare fin da subito a sottoporsi a prestazioni di Magnetoterapia alla colonna, a massaggio leggero decontratturante dei muscoli paravertebrali, alla rieducazione motoria degli arti inferiori, per cicli di 20 gg. al mese per almeno 5 mesi”.
E infine: “Utile, ma solo dopo il terzo mese e dopo controllo radiografico e specialistico, oltre alle prestazioni di fisioterapia, la rieducazione dei muscoli paravertebrali e della colonna dorso-lombare in piscina, in assenza di carico sul rachide”. Cure però tuttora non ricevute, nonostante il trasferimento al centro clinico del carcere messinese.
L’associazione Yairaiha Onlus si era attivata il 16 luglio scorso scrivendo al Garante nazionale delle persone private della libertà, a quello regionale, al ministro della Giustizia e al magistrato di sorveglianza, sollecitando un intervento urgente perché “le cure ricevute sono state esigue e inadeguate limitando la terapia al busto, che porta ininterrottamente dal 9 febbraio, e ad antidolorifici.
Riteniamo – concludono – che il diritto alla salute rientri tra i diritti fondamentali dell’uomo, a prescindere dagli eventuali reati commessi, così come sancisce la nostra Costituzione”.
L’avvocato Antonino Napoli, legale di Rosa Zagari, ha anche
presentato un’istanza a giugno scorso, denunciando la mancanza di cure e ha
chiesto la nomina di un perito per verificare lo stato di salute della donna,
anche per chiedere la compatibilità delle sue condizioni con il regime
carcerario. Ma a testimoniare le cure non appropriate è proprio la madre di
Rosa che ha scritto l’ennesima lettera rivolte alle istituzioni.
“Attualmente Rosa – scrive la signora Teresa Moscato – si trova presso l’Istituto penitenziario di Messina ma non è stata trasferita in una clinica, bensì in un lager, non viene curata, non viene considerata, e i medici oltre ad essere responsabili di atteggiamenti satiriche di basso livello, se ne lavano le mani, ricordando le gesta di un detto Ponzio Pilato.
Nell’Istituto penitenziario di Messina, le hanno sospeso la
somministrazione di Flactadol per sostituirlo al Contramal, farmaco che deriva
dalla classe degli oppioidi, cure, dunque, non appropriate affinché migliori la
condizione di salute di mia figlia”.
Il diritto alla salute, da ribadire ancora una volta, è
riconosciuto universalmente dalla nostra Costituzione, compreso chi è privo
della libertà. Non a caso l’articolo 39 comma 2 dell’ordinamento penitenziario
sancisce espressamente l’obbligo di sottoporre a costante controllo sanitario
il soggetto detenuto, garantendo, la propria tutela alla salute.
Un diritto garantito anche dalla Dichiarazione Universale
dei Diritti dell’Uomo e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che sancisce espressamente il
divieto di sottoporre i detenuti a trattamenti disumani e degradanti.