Vado a Rometta Superiore da quando ho meno di un mese… Si può dire addirittura che io sia stata prima romettese che messinese, seppur nel paesino di collina io non abbia nessun legame familiare. E così da quel giugno del 1983 ogni estate – e con ansia e trepidazione – arrivava il momento in cui dovevo partire! E lì gli amici, il silenzio, le cicale, la libertà arrivata ancora prima che in città, i luoghi nascosti, le piogge estive…
Un paesaggio di riconciliazione, di disintossicazione. Specchio di ogni mio sentire. Il “luogo della mia anima”, così l’ho definito nel romanticismo dei miei sedici anni. Un posto dove poter essere libera di essere me stessa, fuori dalle dinamiche scolastiche, dei gruppi, dei ritmi cittadini.
Ed ogni anno la certezza che avrei trovato tutto uguale a dodici mesi prima, uguale a me.
Una certezza che superati i ‘venticinque’ si fa sempre più blanda. Gli amici sono dispersi, i gruppi sfaldati, la voglia più affaticata; e le mura, le abitudini, le cicale, le altalene, invece, sempre le stesse, a sottolineare il cambiamento e il passare del tempo: malinconia, nostalgia. Le chiamano così. Ci sono tornata sempre meno. Strattonata tra il desiderio, il bisogno e il timore.
Ma qualche settimana ho deciso di fare una prova. E così ho raggiunto i miei. E devo ammetterlo. L’alchimia tra me e Rometta non mi ha tradito e mi ha offerto un nuovo modo per riconoscermi nel luogo: un carcere.
“Prigionieri per l’arte” il titolo di questo evento, promosso dal comune di Rometta.
Il carcere fu iniziato negli anni ’70 e poi ovviamente abbandonato. Inutili le manifestazionoi come quella di Pino Visalli che nel 1997 occupò l’edificio per duecento giorni per sensibilizzare le istituzioni. E poi il 2013 quando il Vice Sindaco Alberto Magazzù con gli artisti messinesi Antonio Giocondo e Stello Quartarone ha dato vita all’ “Officina Creativa del Carcere”.
Vado così a visitare il carcere.
Due splendide mostre al piano terra. Una pittorica ed una fotografica che ha illustrato il lavoro delle associazioni per la riqualifica del territorio: come l’associazione di volontariato e protezione civile “Mari e Monti 2004” di Rometta, che ha fra l’altro pulito e messo in sicurezza i locali dello stesso carcere. Tra le foto la sistemazione di una basilica paleocristiana che il giorno dopo andrò ovviamente a visitare.
Ma poi. Poi salgo al piano di sopra, e scopro un nuovo mondo.
“Prigionieri per l’arte”.
Un lungo corridoio con celle a destra e a sinistra. Silenzioso. Vuoto. Ed ogni cella un piccolo universo. Incontro Stello Quartarone che mi spiega tutto, dell’evento, dell’Officina, di quei quindici artisti che si erano imprigionati nelle celle per qualche giorno, trasformandole in laboratorio e poi in vere e proprie opere d’arte (chiaramente più che consigliata la visita, gratuita, del Ex Carcere).
Una denuncia contro l’edilizia selvaggia degli anni ’70.
Una proposta di riqualifica dell’ampio spazio come foresteria, sala mostre, laboratori artigianali.
Uno specchio, ancora, di me. Dei miei trent’anni. Di quella tensione tra il desiderio di espressione, libertà, realizzazione e la condizione storica odierna che opprime, pressa, costringe nella lotta per l’affermazione, nel precariato, in un futuro incerto.
A Rometta, nel carcere ha vinto la bellezza. Speriamo vinca anche per la mia generazione.
I quindici artisti prigionieri: Giuseppe Pittaccio, Pippo Galipò, Luigi Ferrigno, Antonello Bonanno Conti, Andrea Reitano, Filippo De Mariano, Gianfranco Donato, Mauro Micciari, Giorgio Corriera, Felice Bucca, Daniela Morganti, il “RE” Emanuela Ravida, Daniela Gazzara, Antonio Giocondo e Stello Quartarone.