Scoperta discarica di rifiuti tossici lungo la strada provinciale 44 di Messina, in contrada Portella Arena. Siamo nelle vicinanze di Forte Crispi, o batteria Minaia. Fortificazione umbertina, godeva di una posizione assolutamente strategica, riuscendo a controllare lo stretto da nord a sud. La collocazione permise alla struttura di giocare un ruolo di primo piano durante gli scontri aereonavali del 1941 e del 1943. I bombardamenti subiti ridussero notevolmente il forte, ad oggi privo del fossato, del muro di ingresso e della caponiera. Il corpo centrale è sparito, sostituito da costruzioni abusive e ricoveri per animali. E non solo…
La redazione de ilcarrettinodelleidee.com aggiunge un nuovo agghiacciante ritrovamento all’interminabile elenco di siti adibiti a discariche abusive. Da sempre attivi nel campo dell’indagine su ambiente e territorio, siamo portati a credere che ogni nuova scoperta sia la peggiore, fino a quando ciò che ci si presenta davanti non convince del fatto che quanto si reputa incredibile, è di fatto largamente superato.
Siamo sulla strada provinciale che porta verso Campo Italia. Dai finestrini abbassati godiamo al contempo del profumo di terra umida e di scorci che non riceverebbero giustizia da nessuna macchina fotografica. Una realtà che cerca di mantenere la sua eterea magnificenza, una natura che arranca e soffoca in una continua battaglia in cui sembra vincere l’inspiegabile azione distruttrice dell’uomo. Tra un’esplosione di colori complementari che sprigionano un’armonia e una perfezione da far impallidire qualsiasi impressionista, ecco le pennellate che squarciano in due una tela perfetta. I primi segni si individuano lungo la strada: piccoli cumuli di immondizia, rifugi d’amore testimoni di passioni quasi adolescenziali conservano per terra i ricordi insudiciati di momenti irripetibili, ridotti a un tappeto di rifiuti, fazzoletti e preservativi. Distese aride di terra violentata dal fuoco, privata dagli alberi che giacciono come secchi cadaveri in cimiteri di legno e pietra. Frane che scavano e sventrano colline, mentre sotto ancora si costruisce.
Ma tutto questo non è che il preludio a una realtà ben più grave. Non si parla infatti di semplice sporcizia o incuria. Si parla di rifiuti tossici, di infiltrazioni acide proprio a monte di una sorgente di acqua ‘potabile’.
Parcheggiamo di fronte a una collinetta di materiali di risulta misti ad altre meraviglie, per scavalcare a piedi questa montagna di prodotti umani ed addentrarci in un sentiero ‘sospettosamente’ bloccato. La camminata è piacevole, il sole di Sicilia è caldo e l’aria profuma di erbe selvatiche, ancora per poco… lungo il sentiero cominciamo a intravedere i primi mucchi di rifiuti. Non sacchetti di spazzatura lanciati dalle macchine, come i tanti visti durante la salita, ma cemento, mattoni, copertoni, e amianto. Tanto amianto, troppo. Contiamo una ventina di serbatoi di eternit, dalla capienza variabile tra i 250 e i 500 litri. Quasi tutti lesionati. Continuiamo il percorso con le nostre mascherine sul viso, le nostre migliori amiche, piccoli ripari contro spore mortali. Camminando ammiriamo una città apparentemente intoccabile, protetta dal mare e dalla terra. Intravediamo uno slargo. Il profumo comincia a cambiare. Arriva il pesante e insostenibile timore che la mascherina non basti più… ci copriamo con le sciarpe con l’illusione che ciò possa bastare.
Benvenuti all’inferno. La terra abbandona il verde per lasciare spazio al nero, le scarpe scivolano e in parte affondano in una melma oleosa che la terra non può che assorbire. Un sentiero nero che odora di olio esausto. Un liquido che rende il terreno inutilizzabile per 30 anni e che, una volta raggiunta una falda, può penetrare nei pozzi di acqua potabile rendendoli inutilizzabili: un solo litro d’olio esausto può danneggiare un milione di litri d’acqua. A una prima osservazione, la stima del quantitativo di liquido nel terreno si aggira intorno al migliaio di litri. Resti di autovetture accatastati ai bordi del quadrato di terra confermano la natura del posto, utilizzato per smaltire autovetture rubate. Impossibile stimare l’enorme quantitativo di carcasse abbandonate. L’ordine con cui i diversi pezzi di automobile e altri mezzi sono organizzati dà l’idea di una pratica ben collaudata. Come a dire che se si lavora nell’ordine si è più rapidi ed efficienti. Ed intanto il pensiero va al vecchietto che, a qualche curva di distanza, stava raccogliendo l’acqua nei bidoncini….
Un supermercato degli orrori in cui è possibile trovare ogni genere di rifiuto, tossico e non, perfettamente organizzato per settori e reparti. Quasi ci si aspetta di trovare un cartello con la scritta ‘3 x 2’. Da una parte troviamo tronchi di palma, all’incirca 10 quintali, tutti perfettamente raccolti in un punto e tutti ovviamente recanti tracce del caro punteruolo rosso. In fondo è possibile trovare centinaia e centinaia di copertoni per ogni mezzo e di ogni dimensione. Sulla sinistra, migliaia di kg di resti di materiale elettronico. Una vasta scelta di schermi, stampanti, fotocopiatrici, toner e cartucce che rilasciano in libertà i propri resti nel terreno. Fa quasi sorridere il vedere resti di scrivanie e sedie da ufficio accanto al reparto di rifiuti elettronici. Ma l’ironia non aiuta. Il passo è più lento. Si fa attenzione a dove si mettono i piedi. Non sai cosa potresti calpestare. Lo scenario da film dell’apocalisse ci catapulta su un set cinematografico. La ragione stenta a credere che lo spettacolo cui si assiste sia reale. L’odore diventa di bruciato. I resti di rame a terra sono altri testimoni delle attività che si svolgono nell’area.
E ancora non è finita. Manca un reparto del nostro supermercato degli orrori a cielo aperto. Amianto. Lastre su lastre. Non si riesce a contarle tutte con precisione. Sono troppe. Approssimativamente 600/700 kg. Molte, praticamente tutte, rotte. Abbandonato così, sulla terra nera impregnata di olio. Una superficie di circa 60 metri quadri ricoperta di frammenti, in cima a una collina su cui il vento non manca mai. Amianto, o asbesto. Un materiale proibito dal 1992, il cui smaltimento prevede procedure severissime, vista la natura delle sue fibre, capaci di attaccarsi agli alveoli polmonari senza poter essere espulse. Conseguenza diretta dell’inalazione delle polveri di amianto, l’asbestosi: una patologia polmonare cronica. Si legge sul sito dell’ ONA (Osservatorio Nazionale Amianto): “l’esposizione a fibre di amianto è correlato ad insorgenza di altre gravi patologie, il mesotelioma pleurico e il carcinoma polmonare soprattutto; emergono tuttavia dati statistici che altri tipi di tumore insorgono con una maggiore frequenza nei soggetti con esposizione ad amianto, in particolare tumori gastro-intestinale, tumori del peritoneo ed altre patologie.” Questo materiale vietato, da smaltire con procedure specifiche, potenzialmente mortale se danneggiato, si trova davanti a noi, sulle nostre colline, sulle nostre case. Ci si chiede se chi ha compiuto questa azione sconsiderata, abbia poi gettato nel secchio dei panni sporchi i vestiti contaminati. O se peggio, abbia abbracciato proprio figlio al rientro a casa. I pensieri si accavallano. Gli occhi si sbarrano e la sciarpa si stringe ancora di più su naso e bocca. Gli occhiali si appannano e il respiro è affannato. Davanti a tutto questo la vista non ne può più e la testa si gira.
Ecco l’incanto. L’intera città si mostra in tutta la sua magnificenza, come a voler coraggiosamente imporre una fierezza commovente. Una presenza immobile, una vittima che guarda negli occhi il proprio carnefice chiedendo senza parole perché. Messina è lì. Distesa tra l’azzurro e il verde. Si lascia ammirare da Ganzirri fino quasi a Sant’Alessio, ferma, immobile. Bellissima.
Un panorama da ammirare con la mascherina sul volto, con la paura che tra qualche anno ciò che hai respirato ti presenterà il conto. Torniamo alla macchina ripercorrendo il tragitto a ritroso. Abbandoniamo l’inferno, ma le immagini restano. In un purgatorio che conserva tracce di ciò che lasciamo alle nostre spalle, la vista di un copertone appare innocua.
Rientrando in macchina, la vista di un papavero rosso tra l’immondizia fa impressione.
Gaia Stella Trischitta