In Via San Raineri a Messina, non ci sono poste, negozi, pub o librerie. In Via San raineri c’è il campo Fatima.
Ma in molti non lo sanno nemmeno o semplicemente preferiscono non interessarsene.
Al campo Fatima ci sono persone, anziani e bambini, storie di guerra e storie di speranza.
Sul campo Fatima c’è la delibera 933, un’ordinanza di sgombero emanata da Comune di Messina, finalizzata alla riqualificazione ambientale dell’area dello Stretto.
Arriviamo alle 11 del mattino, il cancello è aperto come sempre ma attorno non si vede nessuno. Solo alcuni cani scodinzolanti e altri assopiti al sole. Case di legno, con tende e tappeti vistosi. Un lavandino in cemento e due latrine pubbliche adibite ad uso comune davanti alle quali stagnano pozze di liquami. Dopo un po’ qualcuno sembra accorgersi di noi e il campo prendere vita. I bambini ci vengono incontro sui loro tricicli colorati e regalano splendidi sorrisi agli obiettivi delle nostre fotocamere. Entriamo al Baktalò Drom, l’associazione del villaggio Fatima. Sulle pareti poster di Inzaghi accanto a quelli di Del Piero, santini di Santa Rosalia accanto ad un ritratto di Tito. Il rappresentante dell’associazione e della comunità nei rapporti con le istituzioni è Feriza Isuf in Italia dal 1989. Facciamo una chiacchierata con lui, che si lascia andare ad un racconto sincero, quasi crudo. Fino alla fine degli anni 80, viveva in kosovo con la sua famiglia, aveva un lavoro e una casa, “una dignità” dirà più volte. Per Feriza la morte di Tito segna l’inizio delle disgrazie per la sua gente:“Tito era geniale, quando Tito è morto, avrei preferito morire con lui” .
Bisogna ricordare che in effetti Tito era riuscito a garantire per oltre 35 anni la conservazione dell’unità interna e dell’indipendenza nazionale, ricorrendo alle sue capacità di leader carismatico del Partito comunista, ma anche grazie alla presa di distanza rispetto all’Urss che rappresentò un elemento di coesione tra i sostenitori del regime e i suoi oppositori e grazie ad una crescita economica, fattore importante di consenso nelle diverse regioni del Paese. Con la morte di Tito morì, nel 1980, gli elementi della crisi profonda del Paese emersero prepotentemente e la coesione della federazione venne meno. Il paese fu colpito da una gravissima inflazione. Col declino dei regimi comunisti nei paesi dell’Europa orientale e le pressioni per una maggiore democrazia politica da parte di alcune etnie, si creavano i presupposti per la disgregazione dell’ex Jugoslavia. Il conflitto nei Balcani e le vessazioni subite dalle varie minoranze ha portato al loro l’esodo in tutta Europa.
Il futuro di Feriza sono i suoi figli. E’ quando inizia a parlare di loro che finalmente cessa il racconto della guerra e inizia quello della speranza e delle aspettative. I figli di feriza sono nati in Italia, parlano perfettamente l’italiano, vestono come i ragazzi messinesi ed è a Messina che vedono il loro futuro.
Stiamo per andar via quando una donna ci invita ad entrare in casa. In realtà si tratta di un monolocale. Su un comò una copia del Corano, sulle pareti santini raffiguranti Santa Rosalia, più in la immagini di bambini. Sono i suoi nipoti rimasti a Podgorica, in Montenegro. Racconta le sue giornate al campo, delle abitudini, delle usanze come quelle di fare il pane. Quando apre l’anta di un armadietto non possiamo fare a meno di notare quantità industriali di merendine e di pacchi di pasta. Sono tutte provviste destinate ai nipoti lontani, che la donna accumula ogni qualvolta ne ha l’occasione. Non riesce a trattenere le lacrime mostrandoci i passaporti già pronti dei 5 nipotini. Avrebbero dovuto raggiungerla in Italia, ma l’ordinanza di sgombero ha cambiato tutto: “Non posso farli venire qua, quale futuro potrei assicurare loro. Non sappiamo nemmeno dove andremo a finire noi residenti”
E purtroppo il futuro del campo è ancora incerto. Soprattutto dopo il 12 maggio scorso quando il TAR di Catania ha rigettato l’istanza cautelare richiesta nel ricorso che le famiglie del campo avevano presentato contro le ordinanze di sgombero.
Se quindi emerge prepotentemente la certezza dello sgombero e lo sradicamento di una comunità dalla loro “casa” , le certezze vengono meno quando si parla del loro futuro. Si giustifica l’ordinanza con la necessità di garantire ai rom maggiore dignità ma al contempo non si assicura loro un’alternativa valida. E la visita dell’assessore alle politiche della famiglia Dario Caroniti presso la Sala Consigli del campo, non ha certo portato ad una soluzione rassicurante per i residenti concludendosi di fatto nel nulla. Sembrerebbe profilarsi dunque una situazione in cui al “mutismo” delle istituzioni reagiscono i gruppi e le associazioni di volontariato, in primis l’Arci. Più volte l’avvocata Carmen Cordaro ha messo in evidenza l’atteggiamento poco chiaro dell’amministrazione comunale in tutta la vicenda. La scarsa attenzione riservata loro contrasta nettamente con il loro status di rifugiati politici, condizione che viene regolata dal comma 10 dell’articolo 3 della Costituzione italiana secondo il quale “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
Il riconoscimento dello status di rifugiato politico entra nel nostro ordinamento con l’adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 che all’articolo 32 afferma il divieto di espulsione del rifugiato che risieda regolarmente nel territorio di uno degli Stati contraenti se non per motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico.
Foto di Jenny Tripodi