Una governance per i beni confiscati alle mafie

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Sicuramente oggi il nostro paese, grazie alla legge n. 646/82 (nota come Rognoni – La Torre) alla n. 109/96 e in ultimo alla n. 50/2010, è all’avanguardia per quanto riguarda la legislazione nel campo dell’aggressione ai patrimoni dei gruppi criminali-mafiosi e può disporre per la sua crescita economica sociale, di un patrimonio immenso di beni sottratti alla crimi­nalità organizzata sia immobili che aziendali. I beni aziendali costi­tuiscono la maggior parte del patrimonio confiscato ai mafiosi e ciò coinvolge lo Stato in una gestione economica che lo vede confrontarsi giornalmente con le logiche di mercato e tocca, nella stessa gestione, l’interesse di tantissimi lavoratori. Allo stato attuale le aziende confiscate defini­ti­vamente sono collocate in prevalenza nelle Regioni del Mezzo­giorno ma ve ne sono anche in altri contesti geografici (Lombardia, Toscana, Lazio). I settori di attività prevalenti sono: calce­struzzi, alber­ghiero, autotra­sporti e agricoltura. La natura criminosa di queste aziende, quasi sempre gestite diret­tamente da appar­tenenti a gruppi mafiosi di altissimo spessore criminale, ne fanno uno strumento impren­di­toriale aggressivo e poten­zialmente violento che mette in una situazione di subal­ternità ogni trattativa impren­di­toriale con clienti, fornitori, lavoratori e agenzie di credito. Si tratta di imprese che hanno avuto a dispo­sizione enormi capitali acquisiti fuori dal contesto impren­di­toriale, frutto delle attività illecite svolte in un largo contesto mafioso diffuso sul il territorio. Questa attività imprenditoriale/criminale può contare, inoltre, su una rete di impren­ditori che pur non essendo affiliati al gruppo criminale possono assolvere una funzione servente a queste organiz­zazioni impren­di­toriali mafiose che finisce per distorcere ferocemente il mercato.

Le normali attività impren­di­toriali presenti in quel contesto spesso rimangono ai margini ma, il più delle volte, vengono risuc­chiate, sopraffatte dalla natura criminale di queste forme d’impresa, per cui, già nella fase di sequestro, la maggior parte di queste aziende non essendo più un strumento funzionale al ciclo produttivo del raffor­zamento dell’economia criminale entrano in sofferenza Vale la pena di riportare alcuni dati: il 33% circa delle aziende con dipendenti arrivate alla confisca definitiva versano in una situazione debitoria grave con un altissimo potenziale di perdita dei posti di lavoro. Il trend nei fatturati si presenta così: positivo 8%, negativo 54%, costante il 21%, non rilevato il 17%, hanno avuto riper­cussioni negative nel mercato per il 54,2 % nei rapporti con i clienti per il 45,8% e il 45,4% anche con le banche. Al momento della confisca solo 4 aziende avevano un piano d’impresa in atto, di cui appena una a lungo periodo e solo 5 hanno chiesto l’adeguamento formativo per i lavoratori.

L’insieme di questi dati indica la necessità di un profondo mutamento nelle modalità di gestione della struttura produttiva e delle risorse umane. È importante consi­derare queste imprese, dal punto di vista economico-aziendale, come se fossero in una situazione di pre-crisi anche quando le stesse arrivano alla confisca definitiva formalmente in bonis, anche perché, se le modalità di funzio­namento nella fase di sequestro sono rimaste immutate rispetto la condizione ante-sequestro, l’apparente floridità dell’azienda può essere dovuta al fatto che l’effetto dei condi­zio­namenti mafiosi non sono cessati. Dunque, bisogna prevedere, se necessario, la possi­bilità che l’azienda possa essere ricon­vertita comple­ta­tamene e orientata a un diverso mercato e che l’azienda stessa diventi strumento di cambiamento dell’ambiente economico dove è inserita.

Per questo, il ruolo dell’Agenzia nazionale beni confiscati diventa strategico perché entra a supporto dell’autorità giudi­ziaria già nella fase di sequestro e, di conse­guenza, può mettere in campo strumenti specifici anche avvalendosi di strutture e supporti tecnici specia­listici in grado di affrontare comples­si­vamente la questione delle aziende siano esse confiscate o seque­strate. Un strumento da attivare è sicuramente la promozione e la costi­tuzione di una governance tecnico-istituzionale multi­livello. La governance deve supportare l’Agenzia durante l’iter di gestione e desti­nazione delle aziende e deve fungere da facili­tatore al fine di coinvolgere tutti soggetti portatori di interesse (partner istitu­zionali clienti, fornitori, banche, partner economici, forze sociali,agenzie di sviluppo). È utile che nelle governance a livello locale vengano coinvolte le prefetture, non solo per il ruolo prettamente istitu­zionale di garanzia per la sicurezza dei territori e dell’ordine pubblico, ma anche come luogo fisico dove la governance possa agire opera­ti­vamente a supporto dell’amministratore. In caso di desti­nazione dell’azienda a favore degli ex lavoratori la governance può attivare strumenti mirati come piani di formazione on the Job per i futuri soci e prevedere forme di incen­ti­vazione e di tutoraggio per accom­pa­gnarli alla creazione dell’impresa cooperativa. e nella fase di star-up

Due consi­de­razioni sui possibili strumenti da utilizzare. L’accordo quadro della regione Sicilia tutt’ora in vigore sull’impiego degli ammor­tiz­zatori sociali in deroga finalizzato al mante­nimento dei livelli occupa­zionali per lavoratori delle aziende confiscate e seque­strate. Tale accordo può essere replicato nelle altre regioni d’Italia con l’impegno congiunto Stato-Regioni. Un’ultima consi­de­razione è rivolta all’attività del legislatore: sarebbe importante che fosse aperta una discussione su una possibile revisione del decreto legislativo 270/99, meglio conosciuto come Prodi/bis. Sarebbe auspi­cabile esplorare la possi­bilità di prevedere una norma che estenda alle aziende confiscate defini­ti­vamente il decreto 270/99, superando il limite attuale dei 200 dipendenti ed estendendo la durata dei commissari dai 18 mesi attuali ai 36 mesi; questo permet­terebbe di speri­mentare l’applicazione dei piani industriali in tranquillità e facili­terebbe l’iter del riassetto organiz­zativo industriale anche di fronte alle difficoltà di accesso al credito.

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