Una realtà tanto diversa quanto vicina

Io non ho più sogni”, questa frase arriva come una pugnalata al petto, una pugnalata che scava tra le carni e giunge dritta al cuore.

I sogni illuminano ogni esistenza, sono la strada per la felicità, senza questi cos’è la vita?
Comprensibile è non averne quando si è adulti, inaccettabile lo diventa per un ragazzo di 19 anni. Musa Ferizaj  però è questo che pensa.

Nato a Taranto è venuto nella nostra città quando aveva ancora pochissimi mesi ed è qui che ha sempre vissuto; adesso è un cittadino regolare a tutti gli effetti e sta cercando di costruirsi il suo futuro. Ma se già la vita per i giovani messinesi è difficile per un ragazzo di etnia rom lo è ancora di più.

Musa infatti si presenta come Michele, ha frequentato regolarmente le scuole della nostra città, fino al terzo superiore.

Perché hai lasciato la scuola Michele?

“L’ho lasciata perché non mi sono trovato bene, ho sopportato per tre anni, poi non ce l’ho fatta più.”

Cosa hai sopportato? Perché non ti trovavi bene?

“Con i miei compagni di classe andavo d’accordo, ma i ragazzi delle altre classi mi prendevano in giro. Secondo loro venivo promosso senza meritarlo, io però mi impegnavo come tutti gli altri, anche se non al massimo.”

Il suo era un atteggiamento come quello di molti altri studenti: fare ciò che occorre per superare l’anno. Ma un atteggiamento “normale” da parte di chi normale non è considerato viene visto di cattivo occhio, e per questo viene deriso o umiliato. È  il caso di Musa, come quello di altri suoi coetanei, ragazzi che a tutti gli effetti sono messinesi.

Pensi di riprendere gli studi per avere un diploma superiore?

No, ho bisogno di lavorare. Frequento un corso per diventare pizzaiolo, finirò tra due mesi circa. Lo frequento quattro volte a settimana e sono previsti anche degli stage per imparare il mestiere sul campo.

Dopo la fine di questo corso cosa farai?

Mi rilasceranno un attestato e spero con questo di poter aprire una pizzeria in Svizzera, lì abitano due miei fratelli con i loro figli e mi piacerebbe tanto raggiungerli. In realtà mi accontenterei di trovare un lavoro onesto qui a Messina, non mi piace rubare, non mi piace spacciare, sono cose che detesto e che non ho mai fatto. Vorrei riuscire a portare dei soldi a casa per aiutare la mia famiglia, vorrei fare qualcosa per loro, per non farli vivere più in queste condizioni.

Il campo Rom di Messina si trova in via San Raineri, nei pressi della zona Falcata, una zona molto degradata in cui vivere per chiunque sarebbe impossibile. Fognature a cielo aperto, topi che invadono il campo, baracche che fungono da normali abitazioni, questo è il luogo in cui tredici famiglie vivono, senza che nessuno si preoccupi di dare loro una sistemazione migliore. Molti sono giunti in Italia a causa della guerra avvenuta in Jugoslavia tra il 1991 e il 1995, e attualmente non hanno più alcuna cittadinanza: Serbia, Montenegro, Slovenia, Croazia, Macedonia e Bosnia Erzegovina sono tutti stati relativamente nuovi, stati di cui i Rom messinesi non fanno né hanno mai fatto parte. Scappati dalla loro terra d’origine hanno scelto l’Italia per rifugiarsi e qui sono stati accolti: “Ma alla fine della guerra la loro condizione di profughi era scomparsa e molti non hanno richiesto il permesso di soggiorno, chi perché non lo sapeva, chi perché non aveva un buon rapporto con la burocrazia” spiega Carmen Cordaro, avvocato e presidente dell’Arci Territoriale, da sempre impegnata nella lotta per i diritti degli immigrati, “erano convinti che la loro condizione di profughi li avrebbe portati conseguentemente a ottenere un permesso umanitario, non hanno capito che doveva essere richiesto attraverso la compilazione di documentazioni varie. Quindi si sono ritrovati a passare da profughi a irregolari.
La maggior parte di loro non ha documenti, o ha passaporti che risalgono all’ex Jugoslavia, dal momento che sono giunti nel nostro paese quando ancora esisteva un unico stato”, prosegue l’avv. Carmen Cordaro, “per ottenere nuovamente un passaporto devono dimostrare che appartengono ad uno dei paesi da essa formatisi ma molti di loro provengono dal Kosovo, ed esistendo ancora una forte problematicità tra territorio serbo e il territorio del Kosovo non è semplice ottenere la cittadinanza che serve poi per poter avere un passaporto”.

Ed è qui che si viene a creare un enorme interrogativo: se non appartengono né alla Serbia, né al Montenegro, né alla Slovenia, né alla Croazia, né alla Macedonia né alla Bosnia Erzegovina a quale stato e città appartengono queste persone? Vent’anni trascorsi in Italia li fanno sentire appartenenti ad essa, ma non in tutti i casi la legge permette loro di essere considerati cittadini italiani. E allora quali sono le possibilità che hanno per avere una vita dignitosa? Quali sono i sogni che i ragazzi rom inseguono per migliorare la loro vita?

“Mi piacerebbe tanto scrivere un libro, raccontare la mia storia, non tanto per diventare qualcuno quanto per far conoscere la nostra situazione, per far sapere a tutti come stanno realmente le cose, ma non ho come fare, non so a chi rivolgermi”, racconta MusaFerizaj, “quest’anno avevo pensato anche di partecipare al Grande Fratello, fare quello che ha fatto Ferdi Berisa. Lui viveva qui con noi, suo padre è stato espulso dall’Italia qualche mese fa a causa della mancanza di un permesso di soggiorno. Il Grande Fratello ha dato a Ferdi la possibilità di ricominciare da capo e avere una vita felice.

Poche e semplici richieste che sembrano quasi irraggiungibili. Il Comune può fornire dei servizi e degli aiuti soltanto a coloro che risultano presenti nella nostra città, quindi chi è ancora in una condizione di irregolarità resta invisibile agli occhi delle istituzioni.

La nostra società dovrebbe riuscire a dialogare con tutti, dimenticando le paure: non c’è una persona regolare o una irregolare, c’è una persona che è di fronte a te, che è un essere umano come te, che ha gli stessi desideri e bisogni tuoi”, conclude così l’avv. Carmen Cordaro, sottolineando l’importanza dell’uguaglianza tra tutti gli esseri umani, uguaglianza che troppo spesso viene dimenticata.

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